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La donazione di immobili

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La donazione di immobili

La donazione di un immobile è sempre frutto di una decisione complessa e spesso non semplice che viene effettuata sulla base di diversi criteri specie nei passaggi generazionali di padre in figlio ma i dubbi sono sempre molti: come fare un atto di donazione, determinare il valore degli immobili e conservare le opportune garanzie anche con i propri figli? La donazione è un vero e proprio contratto, nel quale il soggetto donante trasferisce al donatario sempre a titolo gratuito, cioè senza chiedere niente in cambio un bene. Possono rientrare nella donazione anche la costituzione di un nuovo diritto su un bene  come ad esempio  l’usufrutto e l’abitazione; questo è un atto importante per chi vuole conservare una certa autonomia sul bene ( restando usufruttuario magari a vita) ma nel contempo trasferire tutti i beni non avendo più pensieri in vita. Inoltre è possibile anche liberare un obbligo come la rinuncia a un credito o stabilire una prestazione.

La donazione va sempre formalizzata davanti a un notaio essendo un atto pubblico alla presenza di due testimoni  con esclusione di  coniugi,  parenti o affini e le persone in qualche modo interessate all’atto a prescindere dal valore del bene donato. In mancanza di tali requisiti, il contratto si considera nullo.

Le due parti donante e donatario devono indicare il valore del bene ed essere concordi nel donare e nell’accettare il regalo  manifestando reciprocamente la loro volontà davanti al notaio.


Viene escluso l’intervento notarile nella donazione manuale quando cioè la donazione è di modesto valore e  non incide in maniera significativa sulla ricchezza di chi dona.

E’ importante sapere che per procedere a una  una donazione è obbligatorio avere la piena capacità di agire e quindi  non possono donare i minori, gli interdetti, gli inabilitati e  le persone soggette ad amministrazione di sostegno se sono state private della capacità di disporre dei propri beni anche attraverso  il proprio legale rappresentante.

Possono donare anche le persone giuridiche, pubbliche e private e a favore anche  di figli non ancora nati o concepiti ma  non si può donare un bene futuro ovvero che non si trova nel patrimonio del donante al momento della donazione. I Minori e interdetti possono accettare una donazione solo tramite i genitori o i loro legali rappresentanti che, a loro volta, devono essere autorizzati dal giudice tutelare.

La revoca della donazione

La donazione come tutti i contratti  è un atto revocabile ma per farlo è necessario l’accordo di entrambe le parti con un’unica deroga:  si può revocare per  ingratitudine vale a dire quando il donatario abbia commesso reati gravi nei confronti del donante e dei suoi congiunti oppure  per sopravvenienza di figli (quando cioè il donante abbia figli o discendenti ovvero scopra di averne dopo aver fatto la donazione).

Quindi ad eccezione di questi due casi specifici analizzati quando si sceglie  di donare un bene, non si può più tornare indietro.

per sopravvenienza di figli, quando cioè il donante abbia figli o discendenti ovvero scopra di averne dopo la donazione.

Come determinare il valore dell’immobile oggetto di donazione.
Per i beni immobili oggetto di donazione:

  • per la piena proprietà, il valore è quello venale alla data dell’atto di donazione;
  •  per la proprietà gravata da diritti reali di godimento, il valore è dato dalla differenza tra il valore della piena proprietà e quello del diritto da cui è gravata;
  •  per i diritti di usufrutto, uso e abitazione il valore si ottiene moltiplicando il valore della piena proprietà per il tasso di interesse e per il coefficiente, relativo all’età del titolare del diritto.

Le imposte  sulla donazione di immobili.

Le aliquote sono le stesse previste per le successioni e variano in funzione del rapporto di parentela intercorrente tra il donante ed il beneficiario.
In dettaglio:

  •  il 4% per il coniuge e i parenti in linea retta, da calcolare sul valore eccedente, per ciascun beneficiario, 1 milione di euro;
  •  il 6% per fratelli e sorelle, da calcolare sul valore eccedente, per ciascun beneficiario, 100 mila euro;
  •  il 6% per gli altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta, affini in linea collaterale fino al terzo grado, da calcolare sul valore totale senza alcuna franchigia;
  •  l’8% per le altre persone, da calcolare sul valore totale senza alcuna franchigia.

Sulla donazione di un bene immobile o di un diritto reale immobiliare sono dovute inoltre l’imposta ipotecaria nella misura del 2% del valore dell’immobile e l’imposta catastale nella misura dell’1% del valore dell’immobile.


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La deducibilità dei costi auto

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deducibilita costi autoLa deducibilità dei costi auto

I costi sostenuti per l’ autovettura rappresentano indubbiamente  i maggiori indiziati nei casi di accertamento e nella deducibilità nonché oggetto di riprese fiscali nei bilanci di aziende e imprese individuali; sono quelli presi sempre sotto esame e demonizzati. Cerchiamo quindi di fare chiarezza con un articolo di facile e veloce consultazione, che speriamo faccia meglio comprendere  le percentuali di deducibilità del costo e di detraibilità dell’IVA sull’acquisto e la gestione delle auto (automobili, autovetture o autoveicoli per il trasporto di persone) a seconda nello specifico campo di attività della vostra azienda.

Partiamo dalla normativa attualmente in vigore derivata dalla legge di Stabilita’ per il 2013, che ha modificato l’art. 164 comma 1 del Tuir, prevedendo  la riduzione della percentuale di deducibilità per gli autoveicoli aziendali (ovvero auto non utilizzate esclusivamente come beni strumentali da imprese e professionisti) in questi modi:

  • autoveicoli non utilizzati esclusivamente come beni strumentali da imprese e professionisti: per questi  la percentuale di deducibilità del costo è pari al 20% (da applicare fino ad un costo massimo fiscalmente riconosciuto pari ad euro 18.075,99);
  • autoveicoli assegnati in “uso promiscuo” a lavoratori dipendenti  per i quali la percentuale di deducibilità del costo è pari al 70%;
  • agenti e rappresentanti di commercio; per loro rimane tutto  invariato ovvero 80% il costo annuo fiscalmente riconosciuto e euro 25.822,84 euro il massimale di costo per l’acquisto dell’auto.

A questo punto è necessario capire l’inquadramento dellla specifica attività esercitata che può sussistere in:

  • autovettura concessa in uso promiscuo al dipendente o all’amministratore.
  •  un agente o un rappresentante di commercio.
  • azienda che fa un uso dell’auto non esclusivamente strumentale all’attività;
  • azienda che per la specifica attività che svolge ( es taxi autonoleggio, autotrasporto, scuole guida, pompe funebri  etc ) fa  un uso dell’auto esclusivamente strumentale all’attività;
  •  Esercente Arti o Professioni ( Professionista lavoratore autonomo in possesso di partita Iva che sia o meno iscritto a un albo professionale) ;

Ma quali sono i costi da considerare per la detraibilità che deve essere vista con due concetti differenti ovvero quello relativo alla deducibilità del costo e quello relativo alla detraibilità dell’IVA.

Prima di addentrarci nella lettura  di una tabella esemplificativa e di veloce consultazione delle specifiche percentuali di detrazione e deducibilità analizziamo con cura quali sono i costi da considerare e che coinvolgono il panorama delle autovetture:

  • ammortamento del costo d’acquisto ( costituito dalla ripartizione negli anni del costo ivi inclusa la parte dell’IVA non detratta);
  • canoni di leasing ( inclusa IVA non detratta);
  • spese di locazione e di noleggio ordinario o a lungo termine;
  • carburanti e lubrificanti ( da schede carburante);
  • assicurazione ( il costo di competenza dell’anno valevole solo per il costo);
  • spese di manutenzione e riparazione;
  • spese di custodia (locazione di autorimesse, parcheggi etc ).

Percentuali di deducibilità e detrazione:

Tipologia  detraibilità Iva deducibilità costo
Professionisti /Artisti
Acquisto 40% 20%
Leasing 40% 20%
Noleggio 40% 20%
 Aziende con uso auto strumentale attività
 Acquisto 100% 100%
Leasing 100% 100%
Noleggio 100% 100%
 Aziende con uso auto non strumentale
Acquisto 40% 20%
Leasing 40% 20%
Noleggio 40% 20%
Agenti e Rappresentanti
Acquisto 100% 80%
Leasing 100% 80%
Noleggio 100% 80%
auto in uso Promiscuo
addebito busta paga
Acquisto 40% 70%
Leasing 40% 70%
Noleggio 40% 70%
Addebito con fattura
Acquisto 100% 70%
Leasing 100% 70%
Noleggio 100% 70%

ATTENZIONE: l’utilizzo dell’auto come bene strumentale per l’impresa viene inteso quello senza il quale l’attività di impresa non può essere esercitata; è il caso ad esempio del tassista o delle pompe funebri e di altre tipologie per cui bisogna fare estrema attenzione ad individuare nel modo corretto la situazione specifica caso per caso.

Mentre per le auto acquisite con contratti di leasing si ricorda che, con l’art. 4-bis del D.L. n. 16/2012 è stata eliminata, per i contratti stipulati dopo il 29 aprile 2012, la “durata minima del contratto”, rimanendo la deducibilità del costo parametrata a un periodo non inferiore al periodo di ammortamento risultante dall’applicazione dei coefficienti ministeriali, attualmente fissati dal D.M. del 31 dicembre 1988.

Infine analizziamo in maniera più approfondita il concetto dell’ auto data in uso promiscuo ai dipendenti che dobbiamo intendere come un uso concesso per la maggior parte del periodo di imposta ovvero  metà più uno dei giorni che compongono il periodo stesso. L’ uso deve essere comprovato da un documento specifico come ad esempio inserito nel contratto di lavoro del dipendente stesso oppure da lettera raccomandata al verificarsi di un tale evento che ne leggittimi l’uso stesso (esempio acquisizione di un cliente dove il dipendente dovrà andare a lavorare in sede) o altra tipologia. Nel caso di veicoli acquistati o ceduti nel corso del periodo di imposta l’uso al dipendente deve risultare per la maggior parte del periodo di possesso. Ai fini del computo del periodo non è necessario che tale uso sia avvenuto in via continuativa, né che il veicolo sia stato utilizzato da uno stesso dipendente. Poiché l’uso concesso al dipendente costituisce un compenso in natura, al dipendente beneficiario dovrà essere  attribuito un fringe benefit in busta paga. Ai fini della deducibilità dovranno quindi sussistere due prerequisiti:

  1. assegnazione, per la maggior parte del periodo di imposta, del veicolo al dipendente;
  2. attribuzione in busta paga di un fringe benefit pari al 30% del costo del veicolo in uso, come da tariffe ACI, corrispondente a una percorrenza convenzionale di 15mila chilometri annui.

Se non sono soddisfatti i predetti requisiti valgono le regole generali di deducibilità per i veicoli a uso esclusivo aziendale non strumentali (vedi tabella).

ACQUISTO AUTO:

esercenti Arti e professioni

per le autovetture costo deducibile fino ad € 18.075,99, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;
per i motocicli costo deducibile fino ad € 4.131,66, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità; si definiscono motocicli i veicoli a due o tre ruote con motore di cilindrata superiore a 50 cm3 o capacità di sviluppare una velocità oltre i 45 km/h. Quando non superano tutti e due i limiti sopra citati sono considerati ciclomotori.
per i ciclomotori costo deducibile fino ad € 2.065,83, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;

LEASING:

per le autovetture deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 18.075,99 con ragguaglio annuo;
per i motocicli (sopra definiti) deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 4.131,66 con ragguaglio annuo;
per i ciclomotori (sopra definiti) deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 2.065,83 con ragguaglio annuo;

NOLEGGIO:

per le autovetture deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 3.615,20 con ragguaglio ad anno;
per i motocicli (sopra definiti) deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 774,69 con ragguaglio ad anno;
per i ciclomotori (sopra definiti) deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 413,17 con ragguaglio ad anno.

Agenti e Rappresentanti di commercio
I seguenti limiti sono invece validi per un Agente o un Rappresentante di commercio:

ACQUISTO:

per le autovetture costo deducibile fino ad € 25.822,84, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;
per i motocicli (sopra definiti) costo deducibile fino ad € 4.131,66, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;
per i ciclomotori (sopra definiti) costo deducibile fino ad € 2.065,83, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;
LEASING: deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 25.822,84 con ragguaglio annuo;

per le autovetture deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 25.822,84 con ragguaglio annuo;
per i motocicli (sopra definiti) deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 4.131,66 con ragguaglio annuo;
per i ciclomotori deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 2.065,83 con ragguaglio annuo;
NOLEGGIO:

per le autovetture deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 3.615,20 con ragguaglio ad anno;
per i motocicli (sopra definiti) deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 774,69 con ragguaglio ad anno;
per i ciclomotori (sopra definiti) deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 413,17 con ragguaglio ad anno.

Autovettura concessa ai dipendenti in “Fringe benefit”

Le auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti (per la maggior parte del periodo d’imposta) non sono invece soggette al limite massimo di deducibilità di € 3.615,20 annui.  Se però l’autovettura viene assegnata ad un amministratore o a più amministratori queste non rientrano tra le “auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti”.

 


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liquidazione di srl senza intervento del notaio

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liquidazione srl senza notaio

La Liquidazione della SRL senza intervento del Notaio

Abbiamo aperto la nostra SRL o SRL semplificata magari con bassissimi costi di avvio perché credevamo fortemente in un business che non si è dimostrato vincente. Ora che abbiamo accertato che ci sono forti difficoltà cosa fare?  Se l'attività non va come dovrebbe la prima cosa è redigere un budget significativo di costi e ricavi specifici con le  proiezioni del periodo e se decidiamo che debba essere chiusa, anche se è un processo estremamente doloroso va fatto.


La cessazione di una impresa individuale o di una semplice attività professionale costituisce una  procedura  semplicissima e veloce, ci affidiamo al nostro consulente commercialista di fiducia e con costi molto contenuti non ci pensiamo più.

La chiusura e di una società di una SRL invece è abbastanza complessa e passa obbligatoriamente per due fasi :

A) la fase di accertamento e di messa in liquidazione ( che è successivamente anche revocabile);

B) la cancellazione ( irrevocabile).

ATTENZIONE: prima di procedere alla cancellazione della società è indispensabile verificare che non ci siano pendenze in corso perché la SRL perde la sua personalità giuridica autonoma e una volta cancellata non potrà più effettuare operazioni in proprio nome; trattandosi di una procedura estremamente delicata deve essere necessariamente valutata con l'ausilio del proprio consulente commercialista e avvocato di fiducia.

Sarà quindi opportuno verificare tra le altre cose che:

    • la società non possegga più alcun bene quale auto aziendali, beni strumentali contratti di leasing noleggio etc;
    • non abbia crediti o debiti da riscuotere;
    • abbia percepito il F.I.R.R. se trattasi di agente di commercio;
    • non abbia conti correnti bancari aperti;
    • non abbia cause di lavoro o di altro tipo in corso;
    • non abbia accertamenti fiscali, ruoli o cartelle esattoriali;
    • non abbia marchi o brevetti registrati;
  • abbia provveduto alla SCIA di chiusura se esercente attività commerciale.

La liquidazione della SRL è possibile se ricorrono le ipotesi di scioglimento previste dalla Legge (ex art. 2484 n. da 1 a 5) o dallo Statuto e che non comporta modifica dello statuto,  di norma viene effettuata dal notaio ma vista la sua onerosità, si è consolidata ormai da molti anni la prassi di effettuarla senza atto notarile tra quasi tutte le Camere di Commercio, che accettano ormai pratiche di messa in liquidazione senza la forma dell`atto pubblico notarile.

Non tutte le Camere di commercio accettavano tale procedura e quindi è stata necessaria la nota del 19 maggio 2014 prot n. 0094215 del  Ministero dello Sviluppo Economico (MiSe) ? dipartimento XXI con la quale il registro  delle imprese ha  fornito importanti conferme sulla procedura semplificata.

Il Ministero ha confermato che il verbale di nomina del liquidatore può non rivestire la forma dell'atto pubblico e quindi ha di fatto estromesso l'obbligo del Notaio che diventa quindi facoltativo. Viene ammessa pertanto la semplice delibera assembleare ordinaria  per nominare il  liquidatore  in tutti i casi di scioglimento previsti dall'articolo 2484, 1° comma, nn. 1-5, del codice civile, che non rappresentano quindi una volontà dei soci di modificare l'atto costitutivo.

Resta l'obbligo dell'intervento del notaio, quando l'assemblea dei soci deliberi la messa in liquidazione volontaria della società (articolo 2484, 1° comma, n. 6, c.c.).

Il controllo effettuato dal Registro Imprese è formale e non riguarda la validità sostanziale degli atti presentati per l'iscrizione, essendo questa rimessa alla responsabilità degli amministratori nella fase della loro adozione e alla valutazione del giudice ordinario in caso di impugnazione.

Ma vediamo in pratica come avviene questa procedura semplificata;

L’estinzione della società si compone in genere di tre fasi che corrispondono a tre pratiche da effettuare presso la competente Camera di commercio:

    1. L'assemblea delibera il verificarsi di una causa di scioglimento (di solito l'impossibilità del raggiungimento dell'oggetto sociale o il capitale al di sotto del limite legale);
    1. la messa in liquidazione con nomina del liquidatore ( seconda pratica ;
  1. la cancellazione della società dal Registro delle Imprese con deposito del Bilancio finale di liquidazione (terza e ultima pratica).

Ma quali sono i casi in cui è possibile richiedere la liquidazione?

Nelle società di capitali e quindi anche per  SRL e SRL semplificate , lo scioglimento può essere causato dalla impossibilità di funzionamento o dalla  inattività da parte dell’assemblea, la dichiarazione di nullità della stessa società, la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale (fatta salva la previsione degli articoli 2447 e 2482-ter codice civile), l’impossibilità di liquidare la quota del socio receduto, per deliberazione dell’assemblea e per le altre cause previste dall’atto costitutivo e dallo statuto.
Queste cause oggettive di scioglimento operano di diritto, quindi non serve un accertamento quale, ad esempio, una delibera in tal senso da parte dei soci, o giudiziale, come un decreto da parte del Tribunale o necessariamente il ricorso all’atto pubblico notarile.
Lo stesso Ministero dello Sviluppo economico  ha specificato che il verbale di nomina del liquidatore non deve necessariamente avere la forma di atto pubblico. E’ consentita quindi legittimamente ( e inoppugnabile da parte delle Camere di Commercio)  la semplice delibera assembleare per nominare i liquidatori  in tutti i casi di scioglimento previsti dall’articolo 2484, 1° comma, nn. 1-5, del codice civile, che non rappresentano quindi la volontà dei soci di modificare l’atto costitutivo. E’ invece obbligatorio l’intervento del notaio, quando l’assemblea dei soci deliberi volontariamente per altri motivi   la messa in liquidazione  della società.

In questi casi è sempre opportuno inoltre possedere la firma digitale da parte dell’amministratore unico, o del presidente del consiglio di amministratore e da parte del futuro liquidatore. In molte Camere di Commercio non è estremamente necessaria, ma è sempre bene averla anche per velocizzare le procedure.

La procedura semplificata prevede che l’organo amministrativo, accertata la causa di scioglimento ex art. 2484 c.c., deposita la constatazione al Registro Imprese e convoca l’assemblea per la nomina dei liquidatori. Con il verbale di nomina dei liquidatori si apre il procedimento di liquidazione affidato ai liquidatori, i quali si sostituiscono all’organo amministrativo e depositano le loro nomine al Registro Imprese.

Il costo per la liquidazione con la procedura semplificata è mediamente il 60% rispetto a quello ordinario che prevede l'intervento del notaio.

Cosa occorre?
1. modello di delibera accertamento da parte degli amministratori di una delle cause di scioglimento previste dall’art. 2484 c.c., dai numeri 1 a 5 del primo comma
2. convocazione dell’assemblea dei soci
3. modello di deliberazione dell’assemblea dei soci, che prende atto della causa di scioglimento e nomina il/i liquidatore/i
4. modello di approvazione Bilancio finale di liquidazione e istanza di cancellazione dal Registro Imprese.

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obblighi sicurezza sul lavoro

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obbligo sicurezza sul lavoro

 Obblighi sicurezza sul lavoro

Adempimenti obbligatori che il Datore di lavoro deve adottare per la sua azienda. 

Tutte le aziende che assumono dipendenti si trovano di fronte al bivio della Sicurezza sul lavoro. Questo fondamentale adempimento obbligatorio è molto importante da capire ma soprattutto da analizzare unitamente a un consulente professionista che sappia approfondire le specifiche esigenze dell’azienda. Gli adempimenti infatti, non sono uguali per tutti ma si configurano come un abito su misura che il sarto artigianale deve comporre  misurando il fisico del cliente.  Alcune tipologie di aziende hanno obblighi più snelli perché si trovano in condizioni di lavoro molto tranquille mentre altri, è il caso ad esempio delle palestre e di molte associazioni e società sportivo dilettantistiche hanno invece compiti più gravosi di fronte alla sicurezza, si pensi ai corsi di primo soccorso, alle problematiche antincendio etc. In questi casi ad esempio si andrà a valutare le problematiche cui può incorrere:

  • chi opera all’interno della palestra;
  • chi pratica attività sportive nella palestra;
  • il proprietario e/o gestore;
  • l’utilizzatore di impianti e servizi.

L’ Associazione Sportiva, indipendentemente dalla sua specificità sportiva, dalla sua struttura gerarchica e organizzativa, nonché dalla sua dimensione, è soggetta all’applicazione del D.Lgs. 81/08  come altre attività  e quindi deve individuare e valutare i rischi connessi ai processi di supporto all’attività sportiva, equiparabili alle attività di tipo occupazionale (es. attività di segreteria, di movimentazione materiale, di preparazione degli attrezzi sportivi, di trasporto atleti, di manutenzione locali e attrezzature, ecc.) negli specifici “luoghi di lavoro” (sede dell’Associazione e/o altri luoghi di svolgimento delle attività come i  rischi complementari legati all’evento agonistico, alle sedute di preparazione o di allenamento).

Analizzando il D.Lgs. 81/2008 e le novità introdotte dal D.Lgs. 106/2009  notiamo che sono stati accolti molti concetti già presenti nella legge 626/1994. Si tratta di tutti quegli articoli che si basano sulla prevenzione del rischio in azienda e che di conseguenza implicano la partecipazione del datore di lavoro e dei lavoratori nell’ adozione degli adempimenti e misure di prevenzione e protezione per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il datore di lavoro costituisce il perno centrale e più importante ovvero la prima figura incaricata di garantire la sicurezza sul lavoro e sulla quale ricade appunto l’obbligo del mantenimento dei livelli della stessa.
E’ il datore di lavoro che  deve assolvere agli adempimenti previsti, e sempre lui deve evitare che qualsiavoglia potenziale pericolo dovuti all’esercizio della sua attività, possa tradursi in rischi per i lavoratori che vengono assunti per lo svolgimento dell’ attività; La forza lavoro non decide mai alcun criterio per svolgere l’attività, poiché il potere organizzativo spetta solo al datore di lavoro il quale organizza l’attività di impresa per portare a termine il lavoro che dovranno svolgere i dipendenti, che  si devono attenere a quanto viene loro richiesto, ma nel fare questo il datore di lavoro ha l’obbligo di salvaguardare l’integrità psicofisica dei lavoratori eliminando o cercando di ridurre al massimo i rischi che possono procurare dei danni a questi soggetti.
 
Al datore di lavoro sono equiparati i dirigenti ed i preposti che organizzano tutte le attività svolte dai lavoratori, per i quali il Testo Unico in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro stabilisce che essi oltre ad adottare tutte le misure di sicurezza necessarie per la tutela dei dipendenti, devono anche informare gli stessi sui rischi specifici cui sono esposti, devono insegnare le norme fondamentali di prevenzione e devono addestrare i lavoratori all’utilizzo corretto dei mezzi e degli strumenti di protezione.
 
Il datore di lavoro, in virtù di queste sue responsabilità deve anche adempiere agli obblighi che gli impongono di mettere nelle condizioni il lavoratore di utilizzare macchinari, utensili e strumentazioni che non presentino nessun rischio per la salute e l’integrità. A questo si affianca anche l’obbligo di informare e formare i dipendenti circa i pericoli che possono derivare da un utilizzo non idoneo dei macchinari e degli utensili. A tal proposito, recentemente il D.Lgs. 106/2009, rispetto al D.Lgs. 81/2008, ha previsto dellesanzioni penali più pesanti per la violazione di questi obblighi.
 
Oltre al dovere di informare, al datore di lavoro viene anche attribuito il compito di vigilare e verificare il rispetto da parte dei lavoratori delle norme antinfortunistiche. Per cui quello del datore di lavoro è un duplice ruolo, da un lato deve garantire una corretta informazione ed un esatto addestramento, dall’altro deve osservare attentamente che quanto insegnato sia poi messo in pratica dai suoi lavoratori.
 
Tra gli adempimenti sulla sicurezza sul lavoro, un importante compito che spetta al datore di lavoro è la valutazione dei rischi inerenti la sicurezza e la salute dei lavoratori, attraverso la quale viene redatto successivamente il Documento per la Valutazione dei Rischi (DVR), che rappresenta un’importante attestazione di tutte le misure di prevenzione e protezione che sono state adottate all’interno dell’azienda per migliorare i livelli di sicurezza.
 
Quando ci si appresta ad analizzare le problematiche sulla sicurezza legate ad un’azienda si deve focalizzare su alcuni determinanti aspetti facendosi domane ben precise da cui partire per progettare il lavoro:
Diritti e doveri sulla sicurezza del lavoro
• Chi rappresenta i lavoratori?
• La formazione dei lavoratori sulla sicurezza;
• Sorveglianza sanitaria;
• DPI;
• Lavoratori atipici;
Sanzioni sulla sicurezza per i lavoratori;
• Dirigente, preposto e datore;
• Adempimenti e obblighi;
•  Quali sanzioni per il datore;
•  Il ruolo del medico competente in Azienda;
•  Sanzioni sulla sicurezza sul lavoro per il Medico Competente;
• Chi è l’RSPP – Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione;
• Come diventare RSPP;
• Chi è l’RLS;
• I compiti del RLS
Sanzioni per dirigenti e preposti
•Ruolo, requisiti e formazione del formatore
La vecchia norma 626 
 
La Legge 626 del 1994 fu la legge che rese più moderna la sicurezza sul lavoro in Italia, venne introdotta sia per abrogare le leggi precedenti, che per recepire tutte le normative europee per ciò che riguarda la salute e la sicurezza dei lavoratori.
 
Le principali novità introdotte da questo Decreto furono il Servizio di Prevenzione e Protezione, la figura dell’RSPP, suo Responsabile e la figura dell’RLS, il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, che funge da tramite tra lavoratori e datore di lavoro.  Rispetto al DPR 547/55 il datore di lavoro con il L. 626/94 diventa responsabile del processo di miglioramento della sicurezza del luogo di lavoro e non più solo “debitore della sicurezza nei posti di lavoro”, per questo viene obbligato dallo stesso decreto a redigere un Documento di Valutazione dei Rischi.
 
Nel 2007 viene approvata la legge delega n. 123 che conferisce al Governo il mandato di riformare il L. 626/94 entro il maggio del 2008.  Era diventato infatti necessario:
•armonizzare le leggi vigenti per creare un Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro;
•estendere le disposizioni del L. 626/94 a tutti i settori, tipologie di rischio e lavoratori autonomi e dipendenti;
•prevedere un adeguato sistema sanzionatorio;
•introdurre l’obbligo di indossare tesserini di riconoscimento, indicanti dati del lavoratore e del datore di lavoro, all’interno dei cantieri e altri luoghi di lavoro, a pena di un’ammenda;
•rafforzare gli organi ispettivi.
 
La nuova normativa contiene 306 articoli e 51 allegati e:
•introduce sanzioni penali per chi trasgredisce alle norme in esso contenute;
•istituisce la figura dell’RLS, quale rappresentante dei lavoratori che può ispezionare gli impianti e visionare i documenti aziendali relativi alla sicurezza;
•obbliga alla compilazione del DVR da parte del datore di lavoro, come suo obbligo non delegabile;
•determina la responsabilità delle aziende appaltatrici nei confronti di quelle subappaltanti;
•prevede la sospensione delle attività fino alla messa in regola nei seguenti casi: aziende che non rispettino il TU, aziende che hanno più del 20% dei lavoratori in nero, aziende che sottopongono i i dipendenti a turni di lavoro maggiori di quelli consentiti dai Contratti Nazionali di categoria.
 
In aggiunta al testo unico il codice penale fornisce i mezzi per punire atti e comportamenti omissivi che causano l’infortunio o la morte del lavoratore, con i reati di lesioni colpose e omicidio colposo.
 
Nel 2009 e negli anni successivi sono state effettuate ulteriori modifiche al DLgs 81/08, la prima con il DLgs 106/09, la più recente con l’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011, che va a regolare la formazione sulla sicurezza sul lavoro per datori di lavoro che svolgono il ruolo di RSPP, lavoratori, preposti e dirigenti.
 

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calcolo cedolare secca su affitti

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calcolo convenienza cedolare seccaCedolare secca sugli affitti: valutazione calcolo di convenienza

Quando ci troviamo  a dover affittare un immobile  il primo pensiero corre alla tasse che dovremo pagare sugli affitti e  per chi ha dei redditi sostanziosi questo si traduce in un vero e proprio gioco al massacro, soprattutto perché  gli affitti non beneficiano di molte deduzioni dal reddito e anzi  dal 2013  con la L. 92/2012 la deduzione forfettaria è passata al 5% consegnando la quasi totalità del reddito alla massima tassazione applicabile nel quadro N della Dichiarazione dei redditi.

Fortunatamente con l’introduzione della cedolare secca  è stata data facoltà alla persona fisica  (che al di fuori di attività d`impresa o di lavoro autonomo, affitta a terzi immobili  ad esclusivo uso abitativo con relative pertinenze ) di tassare i canoni con un`imposta “secca” del 21%, ( o del 10% se a canone concordato) sostitutiva dell`Irpef, delle addizionali comunale e regionale, delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione nonché sulle risoluzioni e sulle proroghe del contratto stesso.
Ecco quindi che si apre uno scenario incredibile che, se ben valutato consente un notevole risparmio d’imposta. Appare evidente infatti che, a fronte di un minor introito del canone di locazione  ( assenza di rivalutazione ISTAT ) e quindi di un congelamento dell’importo nel tempo è possibile ” sganciare ” dal reddito complessivo l’importo del canone di locazione e, nel caso di un comune ad alta densità abitativa adottando un canone ancora più basso ( che permette una maggiore facilità di pagamento all’inquilino soprattutto in tempo di crisi) si ottiene un risparmio di imposta non indifferente che ” compensa” il minor canone percepito.
Ma non sempre la cedolare secca è conveniente per tutti. Pensiamo a chi non percepisce altra forma di reddito, pensiamo a chi sostiene nell’anno forti spese mediche o di altra natura; oppure a chi si trova già in un regime reddituale agevolativo ( esempio regime dei minimi) e che quindi si troverebbe con l’handicap da una parte per non poter detrarre oneri deducibili o detraibili e dall’altra con una aliquota Irpef minore ( 23%) che di certo non è molto lontana dal 21% adottabile con la cedolare secca.
Studiamo insieme quindi,  in collaborazione con lo studio Avvocato Andreani attraverso l’utilissimo software da loro creato appositamente per il web  una rapida  valutazione di convenienza sull’adozione delle diverse tipologie contrattuali.
Inseriamo tutti i dati e  valutiamo le tre diverse tipologie contrattuali applicabili ai canoni di affitto.
Altro notevole vantaggio dell’applicazione della cedolare secca è che non pagheremo imposte di registro né sulla prima registrazione né sul rinnovo evitando la bruciante seccatura di ricordarci ogni anno di pagare L’ F23 conteggiando il dovuto al fisco e inoltre saremo esentati anche dall’imposta di bollo. Il legislatore ha consentito di applicare la cedolare secca anche ai contratti di locazione per i quali non sussiste l’obbligo di registrazione (art. 3, comma 2 D.Lgs. n. 23/2011) come ad esempio le locazioni turistiche, dove gli oneri di bollo e di registro per questi contratti (che possono essere anche di breve durata)  rappresentavano una vera e propria spina nel fianco. Per queste tipologie   il locatore può comunicare la sua intenzione di applicare la cedolare secca all’Agenzia delle Entrate direttamente in sede di dichiarazione dei redditi (salvo il caso in cui il locatore, pur  non essendo obbligato, provvede alla registrazione del contratto). Come si versa? Gli importi dovuti sebbene fissati separatamente e con dei codici versamento che vedremo successivamente seguono  lo stesso meccanismo di versamento dell’IRPEF e, quindi, la cedolare secca è versata a saldo e acconto con facoltà di rateizzazione. La cedolare secca viene anche definita una flat tax e, come tale avvantaggia i percettori di redditi elevati. In sostanza, più il reddito è elevato più aumenta il vantaggio fiscale dell’applicazione della cedolare secca rispetto alla tassazione Irpef che è progressiva.
Codici F24 di versamento :
a Giugno o Luglio
Saldo Cedolare secca anno tassazione : cod 1842 –> rateizzabile
Acconto  Cedolare secca anno successivo: cod 1840 –> rateizzabile
a Novembre
Secondo acc. Ced. secca anno successivo : cod 1841 –> non rateizzabile

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nuovi incentivi alle rinnovabili

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Ideensammlung - Erneuerbare Energien

 

Nuovi incentivi alle rinnovabili

Sta partendo un decreto n decreto da 9 miliardi di euro che investirà in 20 anni sulle energie  rinnovabili. Interessate tutte le aziende che operano su energie alternative quali eolico, geotermia, termodinamico e biomasse.

L’Italia è all’avanguardia e il governo investe  sull’energia green insieme a Enel, Eni e Terna. Il Decreto del Ministero per lo sviluppo economico prevede oltre 400 milioni di euro l’anno di incentivi per nuovi impianti,a favore dei nuovi impianti che verranno selezionati nel 2016.
ampio anche il periodo di incentivazione che verrà spalmato su venti anni e venticinque per il solare termodinamico.

I nuovi incentivi verranno comunque erogati nel rispetto del tetto complessivo di 5,8 miliardi di euro annui previsto per le energie rinnovabili, diverse dal fotovoltaico, oggi in bolletta.
Gli incentivi verranno assegnati attraverso procedure di aste al ribasso differenziate per tecnologia per gli impianti di grandi dimensioni (>5 MW), mentre gli impianti inferiori a tale soglia dovranno chiedere l’iscrizione ad appositi registri.
Lo schema di Decreto era stato preventivamente autorizzato dalla Commissione Europea per garantirne la compatibilità con le linee guida sugli aiuti di Stato in materia di energia e ambiente.
Il Decreto garantisce incentivi specifici per ciascuna fonte. In particolare, alle tecnologie “mature” più efficienti (come l’eolico) viene assegnata circa la metà delle risorse disponibili.
La restante parte è equamente distribuita tra le tecnologie ad alto potenziale, con forti prospettive di sviluppo e penetrazione sui mercati esteri, come ad esempio il solare termodinamico, e alle fonti biologiche il cui utilizzo è connesso alle potenzialità dell’economia circolare.

Una nuova boccata d’ossigeno per le imprese italiane che operano nel settore.

Richiedi maggiori informazioni qui.


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Finanziamenti e versamenti dei soci nelle SRL

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finanziamenti soci srl

I Finanziamenti e versamenti dei soci nelle SRL e nelle società di capitali

Sempre più frequentemente le società di capitali e in particolare le SRL, soprattutto  subito dopo la costituzione o nei momenti di crisi, per non ricorrere al finanziamento bancario o quando questo non sia sufficiente,  ricevono finanziamenti da parte dei soci  nell’ambito dell’ordinaria gestione aziendale.

Si ricorre all’ apporto dei soci in via prevalente  quando la società ha necessità di reperire risorse finanziarie ma ha difficoltà a reperire tali risorse sul mercato e/o a sostenerne gli elevati costi.

Ma cerchiamo di capire bene come le somme erogate dai soci possano affluire alla società :

A)  finanziamento dei soci : si tratta di un vero e proprio prestito fruttifero o infruttifero di interessi; la modalità di tale versamento deve essere prevista dallo statuto e deliberato dall’assemblea dei soci;

B) versamento  dei soci: si tratta di somme erogate a fondo perduto,  quindi costituenti capitali che andranno registrati in conto futuro aumento di capitale o per copertura perdite; in pratica serviranno ad incrementare il capitale ovvero ad  appianare  perdite verificatesi nell’esercizio in cui vengono deliberati o anche precedenti.

Finanziamenti dei soci

Questi si presumono sempre fruttiferi di interesse salvo che non sia deliberato diversamente  con un tasso minimo applicabile pari a quello legale o superiore  e  prevedono che il denaro sia restituito ai soci.

Quindi la prima differenza sostanziale è che il finanziamento è una erogazione temporanea di liquidità che il socio fa nei confronti della società applicando un tasso di interesse per far fronte a un periodo prestabilito ma si aspetta la restituzione del prestito non appena la società avrà recuperato la liquidità necessaria.  ( es un cliente che tarda a pagare o un investimento immediato che porterà frutti in un tempo futuro).

E’ importante sapere che il ricorso al prestito soci è soggetto alle limitazioni previste dal C. I. C. R. nella Deliberazione 19 luglio 2005 n. 1058 poiché le società possono raccogliere risparmio presso soci, con modalità diverse dall’emissione di strumenti finanziari, purché:

  • tale facoltà sia prevista nello statuto;
  • i soci finanziatori detengano almeno il 2% del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato;
  • i soci finanziatori siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi.

Le società possono raccogliere risparmio, con modalità diverse dall’emissione di strumenti finanziari, presso società controllanti, controllate o collegate ai sensi dell’art. 2359 del codice civile e controllate da una stessa controllante.

Modalità di erogazione del prestito:

Ovviamente il prestito concesso, sia  sia fruttifero sia infruttifero, se effettuato in forma scritta  deve scontare l’imposta di registro ed è soggetto a registrazione ( verbale di assemblea ) come atto scritto.

Questa è sicuramente la modalità corretta e auspicabile anche se leggermente onerosa mentre altre interpretazioni prevedono che il socio e la società decidano per il prestito mediante scambio di corrispondenza tra socio e società. In  questo modo viene evitata l’applicazione  dell’imposta di registro ma è necessario fare scrupolosamente attenzione a non apporre  le firme del socio e della società sullo stesso documento; per chi decidesse di applicare questa modalità sarà quindi opportuno prevedere la proposta della società e la successiva accettazione del socio.

Versamenti a fondo perduto

In questo caso la società si rende conto di aver bisogno di una capitalizzazione effettiva e duratura, quindi non un arco temporale di fabbisogno legato a un progetto o a una momentanea deficienza di liquidità ma un vero e proprio impegno definito dei soci che, pur non volendo procedere a un formale aumento di capitale, decidono di capitalizzare la società con nuovi conferimenti che per propri  motivi non andranno a formalizzare con un effettivo aumento di capitale.

In questo caso il denaro entra nella società ma non ne uscirà più poiché  manca una specifica ed esplicita pattuizione da cui scaturisca un obbligo di restituzione ai soci dei versamenti effettuati.

Avremo perciò una vera e propria riserva di capitale,  che andrà ad incrementare il patrimonio netto in conto futuro aumento di capitale  con uno specifico vincolo di destinazione.

Versamenti in conto aumento di capitale

Qui siamo in presenza di  una richiesta di aumento a pagamento del capitale sociale da parte della società, già deliberato e che è stato comunicato al  Registro delle imprese da parte dell’amministratore.  I versamenti già effettuati vengono rilevati in un conto transitorio acceso a una riserva di capitale, che verrà poi imputata al capitale sociale, una volta perfezionata l’intera operazione. Se la procedura non si perfeziona, i soci hanno diritto alla loro restituzione.

Vediamo invece gli obblighi della società nei confronti dei soci :

 finanziamenti erogati dai soci alle Srl possono essere restituiti solo dopo avere soddisfatto le altre poste debitorie che gravano sulla società. La postergazione si applica se il finanziamento è erogato in un momento in cui risultino un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o una situazione in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento piuttosto che un finanziamento.

La presunzione di obbligo di restituzione per le somme trasferite dai soci alla società  prevede che le somme erogate dai soci alla società siano date a titolo di mutuo, se dal bilancio non risulta una diversa iscrizione contabile. Quindi, solo i versamenti in conto capitale rilevati non tra le passività, bensì nel patrimonio netto, sfuggono alla presunzione fiscale di finanziamento.

La presunzione di fruttuosità dei capitali dati a mutuo: i finanziamenti dei soci si presumono fruttiferi, al saggio legale, se non è diversamente previsto in forma scritta. Similmente, si presumono percepiti gli interessi, salvo prova contraria, alla scadenza indicata nel contratto di mutuo. Se nulla è previsto, si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo d’imposta.

Delibera Cicr 19 luglio 2005, n. 1058
Condizioni per legittimare il prestito eseguito dai soci alla società: l’attività di raccolta di pubblico risparmio è riservata agli istituti di credito. Fanno eccezione i finanziamenti erogati dai soci alla propria società, a condizione che il socio ricopra tale status da almeno tre mesi e che detenga almeno il 2% delle partecipazioni societarie. Queste condizioni, non richieste per le società di persone, sono invece necessarie per i finanziamenti erogati dai soci alle società di capitali. Le disposizioni citate valgono anche per le cooperative che non abbiano più di 50 soci.

Obblighi fiscali: comunicazione all’Agenzia delle Entrate

Con provvedimento n. 94904 del 2 agosto 2013Tutti i soci che effettuano finanziamenti nelle società , in forma individuale o collettiva,  hanno l’obbligo di comunicare  all’Anagrafe tributaria i dati  e i relativi importi  delle persone fisiche, soci o familiari dell’imprenditore, che nell’anno hanno concesso finanziamenti all’impresa o effettuato capitalizzazioni alla stessa.

Questa comunicazione però va effettuata  solo se nell’anno di riferimento l’ammontare complessivo dei versamenti è pari o superiore a 3.600 euro inteso  come finanziamenti nell’anno o capitalizzazioni effettuate nell’anno.

Sono esclusi dall’obbligo di comunicazione i dati relativi a qualsiasi apporto di cui l’Amministrazione finanziaria è già in possesso (ad esempio, un finanziamento effettuato per atto pubblico o scrittura privata autenticata).

Vediamo in dettaglio caso per caso gli obblighi:

Non sono obbligati alla comunicazione:

  •  gli Apporti e finanziamenti ricevuti dalla società prima del 2014;
  • i versamenti di soci persone fisiche inferiori a €3.600;
  • i versamenti o gli apporti registrati da atto pubblico;
  • Apporti effettuati nel 2014 superiori a € 3.600per futuro aumento capitale sociale che viene rogitato successivamente; la chiave è l’uscita finanziaria;
  • finanziamenti effettuati da amministratori non soci ( anticipi per conto dell’impresa);
  • mancato prelievo dell’utile da parte del socio.

Sono obbligati alla comunicazione:

    • Versamenti di soci persone fisiche superiori a €3.600;
    • versamenti fatti dal familiare dell’imprenditore;
    • accollo di un debito della società da parte di un socio;
  • versamento dei soci a copertura perdite.

 


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Fisco e Equitalia: prescrizione e decadenza cartella

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Fisco e Equitalia: prescrizione e decadenza

della cartella esattoriale

In questo periodo, proprio mentre i consulenti sono tutti impegnati  per le scadenze fiscali è buona abitudine di Equitalia l’invio delle cartelle esattoriali con imposizioni di pagamento che a volte contengono errori e inesattezze. Spesso la notifica di una cartella segua il mancato ricevimento di una avviso bonario, con evidente penalizzazione da parte del contribuente che non può sanare le irregolarità rilevate con il pagamento di una sanzione ridotta e subendo quindi un vero salasso tra interessi, sanzioni e compenso di Equitalia stessa.

Cerchiamo quindi di fare luce sulle varie comunicazioni che il contribuente può ricevere e capire come comportarsi e cosa si rischia nell’adempiere o non adempiere alle varie richieste di regolarizzazione.

Quando si versa tardivamente una o più imposte ( o non si versano ) il passo successivo da parte dell’agenzia delle Entrate è l’invio di un avviso bonario, ovvero una comunicazione con la quale l’ Agenzia delle Entrate informa il contribuente del controllo effettuato sulla sua dichiarazione dei redditi, o altra dichiarazione,  evidenziando eventuali imposte e contributi che non risultano pagati o pagati in modo irregolare.
Si tratta di una semplice comunicazione, della quale il contribuente può richiedere spiegazioni,  l’annullamento o la rettifica, qualora ritenga infondata la richiesta, ( per errori dell’Ente magari il mancato aggancio dei tributi comunque pagati)  e redigere un’autotutela  determinando le nuove imposte da versare o chiedendo lo sgravio.

In caso di pagamento dovuto, è comunque possibile richiedere una rateizzazioni con le seguenti modalità:

  • fino a 5.000 euro, in massimo  8 rate trimestrali;
  • oltre 5.000 euro,  in massimo  20 rate trimestrali.

Tutte le rate sono di pari importo di pari importo ma il mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, oppure di una delle altre rate entro il termine di pagamento di quella successiva, comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena.

Se non si riceve l’avviso bonario ma direttamente la cartella è possibile recarsi presso l’agenzia delle Entrate competente per territorio e chiedere i dati della notifica dell’avviso bonario; se c’è stato un errore nella notifica l’Agenzia delle Entrate riporterà ala cartella notificata allo stato di avviso bonario, potendo quindi usufruire di sanzioni ridotte.

È nulla la cartella esattoriale notificata a seguito di controllo formale della dichiarazione dei redditi, se prima non è stato comunicato al contribuente l’esito del controllo mediante l’avviso bonario.

Se invece per scelta, si decide di non pagare l’avviso bonario, questo si trasformerà in ruolo.

Il ruolo non è altro che un elenco, formato dall’ente impositore ( in questo caso Agenzia delle Entrate (ma può essere l’Inps, l’inail, la Camera di Commercio etc) ai fini della riscossione, che contiene i nominativi dei debitori e le somme dovute.

Il ruolo viene trasmesso a Equitalia che provvede alle successive procedure che sono nel dettaglio:

  • predisposizione e notifica delle cartelle
  • riscossione delle somme e relativo riversamento alle casse dello Stato e degli altri enti impositori
  • in caso di mancato pagamento, avvio dell’esecuzione forzata.

Se non si paga la cartella nel termine di 60 giorni, sulle somme iscritte a ruolo sono dovuti gli interessi di mora maturati giornalmente; il compenso di riscossione per Equitalia che è calcolato sul capitale e sugli interessi di mora  e tutte le eventuali ulteriori spese derivanti dal mancato (o ritardato) pagamento della cartella.

In genere dall’avviso bonario alla cartella di Equitalia può passare un anno , un anno e mezzo, ma può anche succedere che ci si veda notificare atti vecchi anche di cinque o dieci anni. La prima cosa che viene in mente è che questi tributi siano prescritti e non dovuti ma attenzione, perché la conoscenza dei termini e delle decadenze è importante, soprattutto perché si può ricorrere alle cartelle ma bisogna farlo nei tempi giusti e non dare mai per scontato che ci possa essere una prescrizione o una decadenza.

E’ opportuno rivolgersi sempre a un professionista ( Commercialista o avvocato) nei più brevi tempi possibili utili per lo studio della pratica e l’elaborazione della strategia difensiva.

Per capire meglio come funzionano le prescrizioni e le decadenze facciamo una breve panoramica proprio su queste situazioni che si verificano sempre più di frequente.

La decadenza è un termine entro il quale Equitalia deve consegnare al contribuente la cartella di pagamento per la prima volta.

Per questo, Equitalia deve assolutamente notificare la cartella al contribuente entro i termini prescritti a pena di decadenza; se il contribuente non presenta ricorso entro i 60 giorni prescritti dalla normativa, decorre da quel momento il termine per riscuotere il dovuto da parte di Equitalia. Il termine varia in base al credito vantato e iscritto al ruolo.

La prescrizione invece è il termine concesso ad Equitalia per riscuotere il credito successivamente a quello della notifica della cartella di pagamento effettuata dall’ente creditore ( es Agenzia delle Entrate) al contribuente.

La prescrizione si interrompe se ad esempio Equitalia, prima della scadenza della stessa, provvede a notificare un sollecito di pagamento con nuova notifica ovvero se provvede a ad avviare atti di pignoramento, ipoteca o fermo amministrativo.

Si prescrivono nel termine di 10 anni: 

  • imposta catastale;
  • imposta di registro;
  • IVA – IRPEF – IRAP- TASI, Canone RAI;
  • diritto annuale della Camera di Commercio;

Si prescrivono nel termine di 5 anni: 

  • Tosap e contravvenzioni  stradali;
  • La Tari – i contributi INPS e INAIL;
  • L’IMU – ICI e TARI;
  • Le sanzioni amministrative tributarie.

A questo punto però è necessario fare chiarezza su ciò che viene notificato: ad esempio se Oggi nel 2016 riceviamo una cartella esattoriale per un ‘IRPEF non pagata del 2011 dobbiamo capire prima di tutto se questo è il primo atto che viene notificato da Equitalia.

Se effettivamente si tratta del primo atto emesso da Equitalia allora c’è sicuramente un problema di decadenza e  l’imposta non va pagata perché aveva tempo per notificarla fino al 31 dicembre del terzo  anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Presentazione redditi 2011 —> 30/09/2012

termine di decadenza —> 31/12/2015 

Siamo legittimamente abilitati a non pagare l’imposta.

Se invece prima della notifica della cartella da parte di Equitalia avevamo già ricevuto  avvisi di pagamento ( esempio ad aprile 2014) la richiesta di Equitalia è legittima e dobbiamo pagare.

Presentazione redditi 2011 —> 30/09/2012

avviso di pagamento di Equitalia —> 15/04/2014

interruzione delle prescrizione  

termine di decadenza —> 31/12/2017

Il  il termine di prescrizione , ricomincia nuovamente a decorrere dalla data della notifica della cartella. In altri termini, la notifica della cartella interviene per interrompere il precedente termine di prescrizione che ricomincerà a decorrere dal giorno successivo a quello di notifica.

L’introduzione del concetto stesso di “prescrizione” nel nostro ordinamento giuridico è stata approntata al fine di porre un limite temporale all’esercizio di attestazione di un proprio diritto. Nel caso non lo si rivendichi entro un determinato intervallo temporale previsto dalla legge, si ritiene implicitamente che il beneficiario abbia rinunciato a far valere tale diritto e non potrà mai più rivendicare alcunché nei confronti di nessuna controparte.

 


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Il Distacco di Personale e l’IVA

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distacco personale iva

Il Distacco del personale e sue  rilevanze ai fini IVA

Una problematica annosa che nel corso degli anni ha dato luogo a molteplici interpretazioni

Con il distacco di personale un datore di lavoro (distaccante), per soddisfare un proprio interesse, distacca ( mette un proprio lavoratore dipendente a disposizione ) a un  altro imprenditore (distaccatario), con il risultato che il dipendente rende la prestazione lavorativa a favore di quest’ultimo.

L’art. 8, comma 35, della Legge n. 67 del 1988 prevede che “non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.

Le operazioni concernenti prestiti o distacchi del personale sono fuori campo I.V.A. purché ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni:

Il personale distaccato deve essere legato da un rapporto di lavoro dipendente con il distaccante, ma la relativa attività deve essere organizzata e diretta dal distaccatario.

Al contrario, se il potere direttivo e gerarchico è esercitato dal distaccante, la prestazione è imponibile (si vedano Ris. Min. 5 giugno 1995 n. 152/E, Ris. AE 2 agosto 2002 n. 262/E);

Il distaccatario deve corrispondere al distaccante solo il rimborso del costo del personale distaccato (retribuzione, fra cui si dovrebbero includere anche fringe benefit, oneri previdenziali e contrattuali).
Se invece le somme rimborsate sono superiori (o inferiori) al costo, come nel caso di rimborso forfetario slegato dal costo effettivo, l’intera operazione è imponibile, con l’aliquota I.V.A. ordinaria, in quanto la somma rappresenta un vero e proprio corrispettivo per la prestazione di servizi.
Tuttavia, è stato precisato che una lieve maggiorazione, pari a circa il 5% del costo sostenuto, dovuta ad oneri indiretti, quali aumenti di contingenza, rivalutazione delle indennità di fine rapporto ecc. non ne determina l’imponibilità (CTC del 4 gennaio 1996 n. 13).

Da quanto finora evidenziato si può concludere affermando che il distacco del personale, qualora ricorrano entrambe e congiuntamente i due requisiti suddetti, è configurabile come un’anticipazione fatta in nome e per conto della controparte e quindi esclusa dalla base imponibile, ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del DPR 633/72.
In caso contrario è imponibile, e il distacco è assoggettabile ad I.V.A. ai sensi del D.P.R. 633/72.

Nel corso degli ultimi anni, la giurisprudenza  si è occupata più volte della varie problematiche legate al distacco di personale specificatamente ai fini IVA arrivando con la sentenza della Corte di Cassazione del 7.11.2011, n. 23021,  a mettere in discussione proprio  il trattamento Iva delle somme erogate a fronte di prestiti o distacchi del personale, stabilendo che laddove il corrispettivo erogato dall’ impresa distaccataria nei confronti dell’impresa distaccante non corrisponda al mero rimborso del costo del lavoro, l’operazione si deve considerare per intero rilevante ai fini Iva.

L’ Agenzia delle Entrate, invece, ha preso nel tempo posizioni diverse arrivando infine a stabilire, con propria  Risoluzione Ministeriale  n. 346/E del   5.8.2002, l’irrilevanza IVA nel solo caso di “ribaltamento” del mero costo del lavoro, ai sensi della Legge n. 67/1988;  l’operazione deve  intendersi quindi rilevante ai fini Iva ( quindi imponibile)  solo nel caso in cui siano rimborsate somme superiori od anche inferiori.

La conclusione di assoggettare ad imposta l’intero corrispettivo attribuito al distaccante, nell’ ipotesi in cui lo stesso sia differente al mero ristoro del costo del lavoro, è confermato dall’ introduzione successiva della disciplina dei contratti di lavoro temporaneo (c.d. lavoro “interinale”), ad opera della Legge n. 196/1997.

Possiamo quindi affermare che l’operazione di distacco non è rilevante ai fini IVA  solamente se il rimborso erogato dal soggetto distaccatario corrisponde al costo del lavoro sostenuto dall’ impresa distaccante;

Si ha invece rilevanza ai fini IVA se  se l’importo del corrispettivo erogato  dall’impresa distaccataria è superiore o inferiore  al costo del lavoro sostenuto dall’impresa distaccante.


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finanziamenti imprese fondo di garanzia

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finanziamenti impreseMicrocredito Nazionale gestito dal Fondo di Garanzia –  confidi

Il particolare momento economico che viviamo rende difficile alle aziende la gestione della loro attività soprattutto per la difficoltà ad incassare che si riflette nella sofferenza nei pagamenti.

Per questo è necessario che le aziende ricevano una ” boccata d’ossigeno” in liquidità  con un tasso molto basso e una restituzione lenta  che permetta loro di far fronte ai proprio debiti sia verso i dipendenti che verso i fornitori e garantendo nel contempo gli incassi dei propri crediti senza “affanno”

Ecco quindi la nascita di prodotti di credito che  permettono  l’erogazione di finanziamenti di 25.000, da restituire fino a 7 anni, e che possono anche arrivare fino a 35.000 euro.
Il Finanziamento è assistito dalla Garanzia diretta e gratuita del Fondo di Garanzia che garantisce l’80% del finanziamento.

Beneficiari sono tutte le imprese già costituite o i professionisti già titolari di partita IVA, in entrambi i casi da non più di 5 anni.
L’intervento del Fondo avviene mediante la concessione di una garanzia pubblica sulle operazioni di microcredito ed ha lo scopo di sostenere l’avvio e lo sviluppo della microimprenditorialità e delle professioni, favorendone l’accesso alle fonti finanziarie.

La copertura della garanzia per tutte le operazioni di microcredito è quella massima prevista in base alla normativa in vigore: il Fondo interviene infatti fino all’80% dell’ammontare del finanziamento concesso. La Misura è operativa.  La procedura per la richiesta del finanziamento viene valutata in base alle caratteristiche specifiche dell’azienda, ai crediti e debiti vantati e alle proprie capacità di fatturato e reddito.

Il Consorzio confidi  presta  garanzie per agevolare le aziende associate nell’accesso al credito bancario.

Le garanzie, “a prima richiesta” o “sussidiarie”, sono integrative a quelle rilasciate dall’impresa.

La filosofia è quella di non concedere denaro facile, ma di assistere imprese sane e consolidate, o progetti imprenditoriali in fase d’avvio e con reali possibilità di sviluppo.

Possono presentare Richiesta di Garanzia imprese artigiane, microimprese e PMI di Roma e del Lazio.

 Attraverso innovative convenzioni con le principali banche  della regione, garanzie per:

  • Start-up di nuove imprese, Finanziamenti all’imprenditoria femminile, Microcredito

  • Mutui e Finanziamenti

  • Aperture di credito in conto corrente, Anticipazioni su contratti

  • Fideiussioni

  • Acquisto beni strumentali, Acquisto di scorte, Investimenti materiali e immateriali

  • Trasformazione e consolidamento dei debiti da breve a medio termine

  • Leasing

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