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Contributi Inps commercianti e artigiani: agevolazioni

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Contributi Inps commercianti e artigiani: tutte le agevolazioni





  1. collaboratori di imprese artigiane e commerciali di età non superiore ai 21 anni e artigiani e commercianti già pensionati Inps, di età superiore ai 65 anni;
  2. coloro che svolgono attività di affittacamere e produttori di assicurazione di terzo e quarto gruppo;
  3. familiari collaboratori occasionali dell’artigiano;
  4. contribuenti forfetari.

Ai sensi della Legge 233/1990 i collaboratori di età non superiore ai 21 anni usufruiscono di una riduzione delle aliquote contributive previste pari a tre punti percentuali.

L’aliquota agevolata è applicata comprendendo il mese in cui il soggetto compie il 21° anno di età.

Ai sensi della Legge 449/97 art.59 c.15, i lavoratori autonomi di età superiore ai 65 anni titolari di pensione Inps, che continuano la loro attività commerciale o artigiana possono corrispondere i contributi IVS dovuti nella misura ridotta alla metà.

La riduzione deve essere  richiesta espressamente dai soggetti interessati direttamente all’Inps mediante apposita comunicazione; sono esclusi i titolari di pensione di reversibilità e i lavoratori autonomi.

In particolare per coloro che esercitano  attività di affittacamere e produttori di assicurazione di terzo e quarto gruppo indipendentemente dall’età è previsto il versamento dei contributi INPS nei modi regolari ma senza l’obbligo del minimale fisso per cui versano quanto dovuto ( in base al reddito annuale prodotto) direttamente con la liquidazione nel modello Unico.

I collaboratori familiari occasionali dell’artigiano non sono obbligati all’iscrizione IVS e pertanto sono esonerati dal versamento dei contributi stessi.

Particolarmente interessante è invece il panorama introdotto per i contribuenti minimi coloro cioè che si  avvalgono del regime fiscale agevolato( Legge 190/2014,) i quali usufruiscono delle seguenti agevolazioni:

  • il regime agevolato 2015 consentiva a tali contribuenti la non applicazione del minimale contributivo; in sostanza coloro che erano iscritti alla gestione IVS effettuavano il calcolo direttamente sul reddito effettivo, applicandovi le aliquote ordinarie;
  • il regime agevolato 2016, così come indicato dalla Legge di stabilità 2016, invece, consente la riduzione del 35% della contribuzione dovuta, calcolata sul reddito forfetario come determinato. In tal caso, il versamento ridotto comporta un accredito contributivo ridotto ai fini pensionistici. Ne consegue che, anche se il reddito è inferiore al minimale, i contributi vanno calcolati tenendo conto di tale soglia, con la riduzione del 35%.

Ovviamente andrà fatta la comunicazione telematica da inviare all’Inps in sede di iscrizione di inizio attività. La richiesta di adesione è presente nel cassetto previdenziale del contribuente, ma può essere trasmessa anche in modalità cartacea.

Per rientrare nel beneficio previsto per il nuovo regime dei minimi applicabile anche alle strutture extracettive alberghiere istituite sotto forma di impresa individuale bisogna rispettare tutti i requisiti indicati dall‘articolo 54 della Legge di Stabilità:

  • ricavi o compensi all’interno dei parametri fissati per la propria tipologia di attività,
  • spese per lavoro accessorio non superiori a 5mila euro,
  • costo complessivo beni strumentali fino a 20mila euro,
  • redditi derivanti da attività d’impresa o esercizio della professione prevalenti rispetto a quelli eventualmente percepiti come dipendente (qui il criterio è flessibile, se ad esempio la somma dei redditi è comunque inferiore a 20mila euro, si può applicare il Regime dei Minimi e di conseguenza scatta anche l’agevolazione contributiva).

La circolare INPS recita testualmente:

hanno diritto ai contributi agevolati «coloro che, privi di partecipazioni nell’ambito di società di persone o associazioni di cui all’art. 5 del TUIR ovvero di s.r.l. di cui all’art. 116 del TUIR, rivestano unicamente la carica di titolari di una o più ditte individuali, anche organizzate in forma di impresa familiare, esercenti un’attività recante un codice ATECO compreso» fra quelli ammessi al Regime dei Minimi. Sono ammessi all’agevolazione contributiva anche coadiuvanti e coadiutori.

Il regime contributivo agevolato eventualmente prescelto è opzionale, per cui la scelta spetta al contribuente, che deve presentare specifica domanda; in caso contrario non si attiverà automaticamente.

Da segnalare che  se i contributi versati sono inferiori al minimo, i mesi accreditati saranno proporzionalmente ridotti. Nell’ipotesi di impresa già esistente, i contributi sono attribuiti temporalmente dall’inizio dell’anno solare, mentre nell’ipotesi di nuova impresa la decorrenza coinciderà naturalmente con il mese di inizio di imposizione contributiva. Se il reddito forfettario è superiore al minimale, c’è diritto all’accredito per l’intero anno.Altra cosa importante da sapere riguardo ad esempio ai pensionati INPS con oltre 65 anni che accedono al regime agevolato,  questi non possono applicare anche la riduzione contributiva del 50% prevista dall’articolo 59, comma 15, della legge 449/1997, così come i collaboratori familiari di età inferiore ai 21 anni, pertanto per queste categoria va fatto un calcolo di convenienza prima di procedere alla richiesta dell’una o dell’altra agevolazione contributiva.

 


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tassa di soggiorno roma come trattenerla e versarla

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imposta di soggiorno romatassa di soggiorno roma cos’è come trattenerla e versarla


Hotel, B&B Case vacanze e in genere qualsiasi struttura ricettiva o extraricettiva alberghiera  che operi in un comune presso il quale è stata istituita la tassa di soggiorno deve obbligatoriamente trattenere e quindi addebitare nella ricevuta o fattura emessa  per ogni cliente che pernotta nella struttura alberghiera l’imposta di soggiorno che va applicata seguendo le regole stabilite dallo specifico Comune di appartenenza e per ogni giorno di pernottamento.


Come funziona l’imposta di soggiorno?

L’imposta o tassa di soggiorno è dovuta da tutte le persone che alloggiano in una determinata città ed è motivata dal fatto che questo contributo ( come viene chiamato dal Comune di Roma) servirà ad incrementare l’offerta turistica e quindi i servizi offerti al turista dal Comune stesso in tema di interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali.

Ad esempio a Roma dal 1° settembre 2014 sono in vigore nuove tariffe per coloro che soggiornano negli alberghi, case vacanze, affittacamere, bed and breakfast e campeggi di Roma, sono esclusi gli ostelli e il  pagamento  è commisurato per ogni notte trascorsa nelle strutture della città.

le tariffe sono le seguenti:

Alberghi

1- 2 stelle     3 euro al giorno      Max 10 giorni
3 stelle         4 euro al giorno
4 stelle         6 euro al giorno
5 stelle         7 euro al giorno

Bed and breakfast, Affittacamere, Case per ferie,
case e appartamenti vacanze                               
3,5 euro al giorno            Max 10 giorni
Agriturismi e Residenze turistiche alberghiere      4 euro al giorno              Max 10 giorni

Strutture ricettive all’aria aperta,                           2 euro al giorno              Max 5 giorni
campeggi ed aree attrezzate per la sosta
temporanea

le tariffe sono commisurate a persona al giorno.

In pratica il cliente che alloggia in una struttura alla fine del soggiorno ( e normalmente viene escluso dalla determinazione della tariffa del soggiorno offerto anche su portali come Booking.com etc) dovrà pagare in contanti o con uso della carta l’importo determinato, direttamente alle strutture ricettive che dovranno rilasciare una ricevuta nominativa di pagamento. Il contributo, inoltre, si applica fino ad un massimo di 10 notti consecutive nell’anno solare purché effettuati nella stessa struttura ricettiva; 5 notti se si tratta di strutture ricettive all’aria aperta, campeggi ed aree attrezzate per la sosta temporanea .

Chi non deve pagarla? Chi è residente a Roma, i bambini fino ai 10 anni, chi accompagna i pazienti per motivi di salute, il personale della Polizia di Stato e delle altre forze armate e un autista di pullman ed un accompagnatore turistico ogni 23 partecipanti.

Le strutture ricettive con P.IVA aggiungono questi importi nella fattura o nella ricevuta fiscale emessa ma questi importi non concorrono alla formazione del reddito d’esercizio e non sono assoggettate ad IVA. I Bed & Breakfast occasionali e le Case Vacanza non possessori di Partita IVA applicano questi importi nella ricevuta ordinaria e anche per loro non concorrono alla formazione del reddito quindi non va assolutamente aggiunta all’ammontare dei proventi incassati nel quadro RL del mod. UNICO PF o nel quadro D del modello 730.

L’imposta di soggiorno è stata istituita dal D.Lgs. 23/2011 che ha introdotto il tributo a partire dal 1° gennaio 2012 sulla base di appositi regolamenti emanati dai Comuni interessati all’applicazione del tributo. Il Comune con apposito regolamento decide  autonomamente sia la tariffa che il turista deve pagare per ogni giorno di pernottamento, sia la durata del numero dei giorni per cui bisogna pagare l’imposta è necessario pertanto monitorare continuamente ogni eventuale variazione delle tariffe.

analogamente come visto per il Comune di Roma, anche negli altri Comuni d’Italia dove è stata introdotta l’imposta di soggiorno sussistono delle esenzioni, previste in genere per i residenti, i minori entro il 14° anno di età, i disabili, gli operatori del turismo che soggiornano per ragioni di lavoro, gli accompagnatori di persone in gravi condizioni di salute, gli appartenenti alle forze dell’ordine, i vigili del fuoco, gli autisti di pullman e gli accompagnatori turistici ma ovviamente occorre far specifico riferimento alla delibera del Comune in oggetto.

La riscossione del tributo viene demandata al gestore della struttura ricettiva che assume in questo modo la figura del sostituto d’imposta ( come avviene ad esempio per la ritenuta d’acconto o l’autofatturazione) e sarà lui a dover operare e versare nei termini quanto dovuto dal turista viaggiatore rilasciando apposita quietanza al cliente. Successivamente dovrà versare l’importo accumulato nelle casse comunali con le modalità specifiche previste dal Comune stesso.

per il comune di Roma è necessario registrasi con le proprie credenziali sul portale di Roma Capitale, di seguito forniamo il manuale operativo in formato pdf da scaricare gratuitamente seguendo l’apposito link

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come versare l'imposta di soggiorno al Comune di Roma 3.37 MB 166 downloads

Manuale operativo per poter assolvere agli obblighi connessi al Contributo di Soggiorno...

Per poter assolvere agli obblighi connessi al Contributo di Soggiorno occorre essere in possesso delle credenziali (Nome utente e Password) per operare sul portale di Roma Capitale. Per ottenere tali credenziali si deve effettuare una registrazione al termine della quale è richiesto l’invio della documentazione necessaria all’identificazione della persona.

allo stato attuale, ad almeno  4 anni dall’introduzione del tributo, si è assistito ad una notevole diversità nella gestione di tali fondi da parte dei Comuni in particolar modo del Comune di Roma che destinano il gettito secondo le loro priorità: strade e viabilità, misure urgenti che poco hanno a che fare con il turismo

 


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contratti di solidarietà: si all’apprendistato

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contratti solidarietàContratti di solidarietà si all’assunzione in apprendistato durante un contratto di solidarietà

Il ministero del Lavoro ha detto si! Parafrasando una vecchia formula pubblicitaria il Ministero del Lavoro ha dato via libera con un chiarimento effettuato in risposta a uno specifico interpello per la possibilità di avvio di rapporti di apprendistato anche nel caso in cui l’Azienda richiedente abbia in corso un contratto di solidarietà. Il chiarimento era dovuto in relazione all’applicazione dei nuovi ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro introdotti dal Jobs Act.

La motivazione va ricercata nel fatto che il contratto di solidarietà difensivo costituisce specifica causale del trattamento di integrazione salariale straordinaria con la finalità del mantenimento dei livelli occupazionali, con possibile insorgenza, nel periodo di solidarietà, di ulteriori esigenze lavorative e si attiva in base all‘articolo 51 del decreto legislativo 81/2015 attraverso specifico accordo fra impresa prevedendo una riduzione dell’orario di lavoro per evitare riduzioni di organico. Non spetta quindi agli apprendisti, in base all’articolo 2 del dlgs 148/2015.

Ma come funziona realmente il contratto di solidarietà?

Sono previste due tipologie di contratto di solidarietà e relativamente alla fattispecie applicata sono previste disposizioni differenti per concerne la durata, i soggetti che possono beneficiarne e la percentuale di riduzione della retribuzione e dell’orario di lavoro.

  • TIPO A – contratti di solidarietà per le aziende rientranti nel campo di applicazione della disciplina in materia di CIGS (art. 1 legge n. 863/84);
  • TIPO B – contratti di solidarietà per le aziende non rientranti nel regime di CIGS e per le aziende artigiane (art. 5 comma 5 legge n. 236/93).

CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ DIFENSIVI PER LE IMPRESE IN REGIME DI CIGS (LEGGE 863/84): TIPO “A”

Possono farne ricorso tutte le aziende rientranti nel campo di applicazione della disciplina in materia di CIGS, comprese le aziende appaltatrici di servizi di mensa e pulizie, che abbiano occupato mediamente più di 15 lavoratori nel semestre precedente la data di presentazione della domanda, spetta a tutto il personale dipendente ad esclusione di:

  • dirigenti;
  • apprendisti;
  • lavoratori a domicilio;
  • lavoratori con anzianità aziendale inferiore a 90 giorni;
  • lavoratori assunti a tempo determinato per attività stagionali.

La riduzione di orario prevede un’integrazione pari al 60% della retribuzione persa la stipula del contratto è per un massimo  di 24 mesi, prorogabili per altri 24 mesi.

CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ PER LE IMPRESE NON RIENTRANTI NEL CAMPO DI APPLICAZIONE DELLA CIGS (ART. 5, CO. 5, L. 236/1993): TIPO “B”

Con la legge 236/93, art. 5, commi 5 e 8, è stato esteso l’istituto dei C.d.S. anche alle aziende non rientranti nel campo di applicazione della normativa in materia di Cassa Integrazione.

Spetta ai lavoratori che abbiano un rapporto di lavoro subordinato, con esclusione dei dirigenti, dipendenti da:

  • imprese con più di 15 dipendenti, escluse dalla normativa in materia di CIGS, e che abbiano avviato la procedura di mobilità di cui all’art. 24 della legge n. 223/1991;
  • imprese con meno di 15 dipendenti che stipulano contratti di solidarietà al fine di evitare licenziamenti plurimi individuali (art. 7 ter, comma 9, lettera d, legge n. 33/2009);
  • imprese alberghiere, aziende termali pubbliche e private operanti in località territoriali con gravi crisi occupazionali;
  • imprese artigiane indipendentemente dal numero dei dipendenti. Il contributo è erogato a condizione che i lavoratori con orario ridotto percepiscano, dai fondi bilaterali presso cui l’azienda è iscritta, una prestazione di entità non inferiore alla metà del contributo pubblico destinata ai lavoratori. Le imprese artigiane con più di 15 dipendenti devono, altresì, attivare le procedure di mobilità.

Viene erogato un contributo pari al 25% della retribuzione persa sia per il lavoratore che per l’azienda con una durata massima di  24 mesi e non può essere concessa nessuna proroga.

Il contratto di solidarietà assume una sua logica in tutti quei casi in cui si voglia  fronteggiare sopravvenute e temporanee esigenze di maggior lavoro, operando una minore riduzione dell’orario di lavoro del personale interessato rispetto a quanto originariamente pattuito, in base ad una espressa previsione contenuta nel contratto di solidarietà; opportunità che non sempre viene soddisfatta per tutti i lavoratori essendo molti di questi assunti con mansioni  diverse nell’ambito dell’organico aziendale.

Per questo motivo l’azienda che ricorre a contratti di solidarietà può avere necessità di formare personale in specifiche mansioni per far fronte a eventuali esigenze di maggior lavoro assumendo nuovi apprendisti  sempre che si riscontrino anche gli ulteriori requisiti di legge ovvero che sia  rispettato il rapporto  fra apprendisti assunti e maestranze specializzate, in base all’articolo 42, comma 7, del Dlgs 81/2015, e la necessità che il datore di lavoro o i suoi dipendenti abbiano l’esperienza e le competenze necessarie a garantire che l’apprendista riceva una formazione adeguata rispetto alle finalità del contratto.

La crisi aziendale favorisce  quindi il ricorso a delle soluzioni che non compromettano la stabilità, competitività  e funzionamento dell’Azienda ma nello stesso tempo riescano a garantire una continuità di reddito ai propri dipendenti.


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prestazioni occasionali: modalità ritenuta ed esonero per rimborso spese

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ritenuta prestazione occasionaleIn questi ultimi anni la ricevuta per prestazione occasionale ha assunto sempre più importanza anche parallelamente alle modifiche intervenute nel tempo per le collaborazioni coordinate e continuative, a progetto e in ogni caso, in tutte quelle occasioni in cui, per colmare il fabbisogno di brevi collaborazioni spot che si estinguono in un determinato periodo, non trova tipologia di contratto adatta alle proprie. In particolar  modo, la formula della prestazione occasionale interviene ad esempio per coloro che avendo già un lavoro o essendo pensionati hanno la possibilità di incrementare  le proprie entrate con un elevato rapporto beneficio/tempo impiegato , o per coloro che sono pronti ad avviare una libera professione ma non hanno ancora le forze necessarie ( acquisizione di clientela)  tali da giustificare l’apertura di aprire una partita IVA. Meno adatte e più rischiose invece se utilizzate dalle aziende ( impropriamente) come strumento a basso costo ed elevato vantaggio ( e aggiungiamo elevato rischio) per ottenere prestazioni di lavoro di carattere non subordinato. In ogni caso, ogni qual volta si utilizza lo strumento della prestazione occasione è necessario prestare molta attenzione e comprendere che siamo in presenza di uno strumento soggetto a precisi adempimenti  giuridici, previdenziali e fiscali da analizzare attentamente per non ricadere in problematiche estremamente ” seccanti” in caso di uso improprio.






Ma cosa si intende per lavoro autonomo occasionale e soprattutto quali sono i limiti imposti dalla normativa vigente?

Utilizzata in passato in maniera occasionale e reintrodotta con la riforma del lavoro del 2003 ( Legge Biagi )  affinché possa essere riconosciuta come tale, deve rispettare  alcuni requisiti fondamentali:

  1. non può essere un’attività abituale;
  2. deve trattarsi di  un’attività non professionale;
  3. non deve svolgersi con continuità;
  4. non deve esserci una coordinazione.

Il contratto tra azienda/professionista e collaboratore non prevede una forma scritta ma a scanso di equivoci è sempre preferibile redarne uno che metta ben in chiaro i fabbisogni di collaborazione dell’azienda da un lato e le aspettative del collaboratore dall’altro; sia economiche ( compenso spettante) sia soprattutto in merito alle modalità dello svolgimento dell’incarico e soprattutto alla mancanza di un vincolo di subordinazione.

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La caratteristica  del lavoro autonomo occasionale trova la propria regolamentazione generale nell’articolo 2222 del codice civile che disciplina il contratto d’opera definendo il lavoratore autonomo occasionale chi si obbliga a compiere,dietro corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio senza vincolo di subordinazione, né potere di coordinamento del committente ed in via del tutto occasionale.

Quindi la prestazione del collaboratore deve svolgersi senza l’inserimento funzionale nella organizzazione dell’azienda e/o del professionista e inoltre la caratteristica dell’occasionalità la contraddistingue dalle prestazioni di lavoro autonomo svolte abitualmente ed in forma professionale, sollevandola quindi anche dall’obbligo del possesso di partita IVA ( art. 5 D.P.R. 633/72) che è invece caratteristica fondamentale del lavoro autonomo abituale, svolto in modo professionale con obbligo di emissione della fattura.

Il collaboratore occasionale risulta pertanto un non dipendente e un non professionista autonomo,  diventando terreno fertile per abbattere sensibilmente i costi ad esempio di molti progetti imprenditoriali.

La ricevuta della prestazione occasionale: contenuto e caratteristiche

La ricevuta da emettere per la prestazione occasionale ha forma libera ma deve contenere determinati requisiti , specificando che trattasi di prestazione fuori dal campo di applicazione dell’iva ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 633/197 e dovrà contenere: 

  • i dati del prestatore (nome, cognome, luogo e data di nascita, indirizzo e codice fiscale);
  • i dati del committente (nome, cognome, o ragione sociale se trattasi di società, partita IVA o codice fiscale, indirizzo);
  • la descrizione della prestazione svolta (è opportuno far riferimento, se sottoscritta ad una lettera d’incarico che disciplini gli aspetti essenziali della prestazione);
  • l’importo lordo;
  • l’eventuale ritenuta d’acconto (nella misura del 20%, se il committente riveste la qualifica di sostituto d’imposta);
  • l’importo netto percepito;
  • data, luogo e firma del prestatore che rilascia la ricevuta.

Non essendo soggetta ad Iva, la ricevuta dovrà essere affrancata da una marca da bollo da 2 euro con esclusione di tutti quegli importi che non superano euro 77,47.

Di seguito viene pubblicato un facsimile della ritenuta per prestazione occasionale da scaricare gratuitamente in formato excel e con formula precompilata. Sarà sufficiente inserire l’importo netto in fondo alla formula per ricavarne in maniera automatica il lordo e la ritenuta dovuta.

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facsimile di ricevuta per compenso occasionale 10.86 KB 648 downloads

RICEVUTA COMPENSO PER PRESTAZIONE OCCASIONALE ... pubblichiamo un facsimile di ricevuta...

I limiti per prestazione occasionale: reddito annuale e casi di eccedenza

La prestazione saltuaria normalmente non può eccedere l’importo di € 5.000,00 anche se erogato da una pluralità di committenti ma nel caso in cui si dovesse superare questo limite sono previsti  obblighi di natura previdenziale con la conseguente iscrizione alla gestione separata (per la somma eccedente)  e il versamento da parte dell’azienda/professionista committente dei 2/3 dei contributi dovuti ( alla data di redazione dell’articolo  come parasubordinati senza partita IVA, per i quali l’aliquota è prevista nella misura del 31,72%).

Casi in cui non si applica la ritenuta alla fonte del 20%

( chiarimenti dell’agenzia delle Entrate risoluzione 49/E/2013 )

rimborsi spese ritenute d'accontoUno dei casi in cui la ritenuta d’acconto non viene applicata alla prestazione occasionale è sicuramente quello dei rimborsi spese effettuati dal collaboratore in nome e per conto dell’azienda stessa per seminari e formazione gratuita. E’ il caso di rimborso di viaggi, vitto, alloggio per  docenti e ricercatori ma anche di chi anticipa spese di trasporto ed altri oneri connessi per la partecipazione a seminari  e formazione.

Siamo in presenza infatti di spese sostenute che  non concorrono alla formazione del reddito imponibile del collaboratore e pertanto non sono assoggettate ad un acconto di imposta essendo l’imponibile in questo caso pari a zero.

Un rimborso spese relativo a una prestazione di lavoro occasionale, tenuta da un professionista che non svolge attività abituale di lavoro autonomo, non rende necessaria l’applicazione di ritenute alla fonte; a stabilirlo è  l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 49/E/2013, rispondendo a uno specifico quesito dell’Istituto Italiano di Tecnologia.

L’Agenzia delle Entrate, in  questo caso riflette una situazione di fatto logica e sostanzialmente inoppugnabile evitando di far versare la ritenuta alla fonte in tutte quelle ipotesi in cui sussistono attività occasionali di carattere sostanzialmente gratuito e nelle quali il compenso percepito risulta essere pari  alle spese sostenute dal collaboratore. In questi casi viene meno l’obbligo del versamento della  ritenuta di cui all’art. 25 del DPR 600/1973:

« Sono i  rimborsi spese di viaggio, vitto, e alloggio, purché siano solamente quelle strettamente necessarie per lo svolgimento dei seminari, previa acquisizione dei titoli certificativi delle spese».

Le stesse condizioni sono applicabili anche nell’ipotesi in cui le spese siano direttamente sostenute dall’ Azienda.

Il collaboratore da parte sua non dovrà riportare le somme percepite con queste condizioni nella propria dichiarazione dei redditi.

Diversa è invece la considerazione da effettuare per le spese sostenute per l’effettuazione dell’incarico assegnato che rientrano invece nella determinazione del reddito e conseguentemente nell’obblico di applicazione della ritenuta d’acconto.

«Alla determinazione del reddito di lavoro autonomo e del reddito di lavoro autonomo non esercitato abitualmente» rientrano nella nozione di compenso «anche le somme che il lavoratore autonomo riaddebita al committente per il ristoro delle spese sostenute per l’espletamento dell’incarico (cfr. circolare n. 1 del 1973, risoluzione n. 20 del 1998, circolare n. 58 del 2001, risoluzione n. 69 del 2003)».

Il riferimento normativo è l’articolo 54, comma 1, del TUIR (testo unico imposte sui redditi) in base al quale:

«Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione…».

Per quanto riguarda invece i redditi di lavoro autonomo occasionale, l’articolo 71, comma 2, del TUIR, stabilisce che questi:

«Sono costituiti dalla differenza tra l’ammontare percepito nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione».

C’è quindi una differenza fra redditi da lavoro autonomo abituale e non abituale,costituita dal collegamento diretto diretto tra compenso e spesa sostenuta (che vale solo per il lavoro autonomo non abituale, come visto).

È per questo che, solo per prestazioni di lavoro autonomo occasionale, quando è previsto solamente il rimborso delle spese strettamente necessarie per l’esecuzione della prestazione stessa o l’anticipo delle stesse da parte del committente, si genera un reddito diverso pari a zero, anche se le spese sono sostenute in un diverso periodo d’imposta.

L’esonero dalla ritenuta (e dalla dichiarazione per il contribuente) non è invece applicabile:

«Quando il compenso, anche nella forma di spese rimborsate o anticipate dal committente, eccede le spese strettamente necessarie per lo svolgimento dell’attività occasionale, facendo venir meno il carattere sostanzialmente gratuito dell’attività stessa. In tal caso, l’intero importo erogato dal committente costituirà reddito di lavoro autonomo occasionale assoggettabile a ritenuta, ai sensi del citato art. 25 del D.P.R n. 600 del 1973».

Per le prestazioni occasionali infine, per l’Azienda committente permane la rilevanza dei costi ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), di cui al d.lgs 446/1997.

 


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il diritto agli utili del socio nella SRL

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diritto agli utili nella srl 2

Il Diritto agli utili del socio nella SRL

Il diritto agli utili è un diritto del socio che può essere espresso fondamentalmente in due modi:
 
A) lo statuto della srl può prevedere sia il voto sulla redistribuzione degli utili dell’organo amministrativo (consiglio di amministrazione)
B) il diritto all’esercizio potrebbe sorgere già in relazione all’emersione di utili netti, per effetto della mera approvazione del bilancio, come avviene per le società di persone.
Esistono poi una serie di regole particolari che possono essere inserite in statuto o anche verbalizzati successivamente ( esempio nella adozione della trasparenza  fiscale dove è possibile verbalizzare una percentuale di utili che il socio lavoratore percepisce diversa dalla sua partecipazione societaria ) come una proporzione diversa nella ripartizione degli utili a favore del socio ( con esclusione del patto leonino, ovvero il dividendo di escludere un socio da utili o perdite) o anche un diritto particolare vantato ad esempio sugli utili relativi solo all’andamento di uno specifico settore o divisione aziendale dell’attività della società ( escludendo gli altri settori) che però va gestito con istituzione di una contabilità separata). Restano invece vietate invece eventuali clausole che trasformino il diritto agli utili in forma di tass di interesse, cioè di diritto a un determinato rendimento indipendentemente dal risultato d’esercizio.

 


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Regione Lazio Case e Appartamenti per vacanze e Bed & Breakfast non imprenditoriali

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regione lazio bed and breakfast non imprenditorialeRegione Lazio  Case e Appartamenti per vacanze  e Bed & Breakfast non imprenditoriali

Bocciato dal TAR il nuovo regolamento emanato dalla Regione Lazio che non poche critiche aveva prodotto e che aveva  riscritto le regole per le strutture ricettive extra alberghiere. In particolare la Regione aveva inteso regolarizzare le strutture extraricettive non imprenditoriali  quali case vacanza e bed and breakfast introducendo limitazioni troppo stringenti all’attività, e questo proprio nell’occasione dell’apertura dell’Anno Santo.

I giudici hanno inteso accogliere il ricorso dell’Antitrust che si era fermamente opposto alla normativa, approvata nell’agosto 2015  ( che oggi è stata annullata in diversi articoli vedi fine articolo) e che prevedeva che i comuni laziali potessero imporre alle strutture non imprenditoriali lunghi periodi di chiusura forzata  e che, secondo l’Authority  avrebbero rischiato di danneggiare i titolari delle attività e i consumatori, a vantaggio delle strutture alberghiere tradizionali.

Pertanto allo stato attuale è in ciorso una modifica al regolamento regionale n. 8/2015 già allo studio della Regione e che come conseguenza comporterà dei tempi molto più lunghi per le autorizzazioni in corso.

Alla base del provvedimento di bocciatura del TAR molto probabilmente c’è l’inasprimento, contenuto nella normativa,  dei requisiti richiesti per l’ autorizzazione che poteva tradursi in una non giustificata limitazione dell’accesso all’attività.

Oltre all’imposizione effettuata specificatamente su case vacanze e b&b non imprenditoriali relativa ai periodi di chiusura obbligatoria, la normativa prevedeva l’attribuzione a  Roma Capitale  di individuare zone da destinare all’apertura di ostelli.  inoltre  si imponevano contratti di affitto della durata minima di 3 giorni e, vincoli dimensionali in termini di metratura di alcuni spazi,  obbligando così le strutture esistenti a sostenere  onerosi obblighi per adeguarsi.

La Regione ha obiettato che, la distinzione  fra struttura imprenditoriale e non imprenditoriale,  favorirebbe la lotta alle attività ricettive irregolari, lasciando chiaramente indendere che le limitazioni imposte erano propedeutiche a far trasformare tutte lke strutture non impreditoriali in strutture imprenditoriali favorendo così la lotta all’abusivismo.

In questo modo però l’illegalità veniva ciontrastata solo dall’obbligo di chiusura per alcuni periodi dell’anno lasciando completamente scoperto  il campo relativo all’adeguatezza o meno del servizio.
Con la sentenza del TAR vengono quindi annullati gli artt. 3, 6, co. 2, 7, co. 2, lett. a), 3 e 4, 9, co. 1 e 3, lett. a), e 18 del regolamento”.

Riportiamo di seguito integralmente la nota esplicativa della Regione Lazio a seguito della sentenza n. 6755 del 13 Giugno 2016 (n. 00586/2016 Reg. Ric.) con la quale Il TAR (Tribunale Amministrativo Regionale)  ha accolto il Ricorso n. 586/2016, proposto dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato-Antitrust, contro la Regione Lazio.

OGGETTO: Regolamento regionale n. 8/2015 (Nuova disciplina delle Strutture ricettive Extralberghiere). Sentenza TAR Lazio-Roma, Sez. I-Ter n. 6755 del 13 Giugno 2016.

Si comunica che il TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) Lazio-Roma, Sezione I Ter, con Sentenza n. 6755 del 13 Giugno 2016 (n. 00586/2016 Reg. Ric.) ha accolto il Ricorso n. 586/2016, proposto dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato-Antitrust, contro la Regione Lazio e annullato il Regolamento regionale n. 8 del 7/8/2015 (Nuova Disciplina delle Strutture Ricettive Extralberghiere), limitatamente agli articoli sotto indicati:

  • Art. 3 (Periodi di chiusura), per intero.
  • Art. 6 (Hostel o Ostelli), limitatamente al comma 2.
  • Art. 7 (Case e Appartamenti per Vacanze) limitatamente a:
    • lettera a) del comma 2;
    • comma 3;
    • comma 4.
  • Art. 9 (Bed and Breakfast) limitatamente a:
    • comma 1;
    • lettera a) del comma 3.
  • Art. 18 (Disposizioni transitorie), per intero.

Pertanto dal 14/6/2016, data di comunicazione della pubblicazione della suddetta sentenza, le disposizioni sopra richiamate non sono più applicabili.

La Regione Lazio provvederà ad adeguare le disposizioni di cui al suddetto Regolamento n. 8/2015.
La scrivente Agenzia provvederà, quanto prima, alla modifica della relativa modulistica di classificazione, pubblicata sul sito istituzionale della Regione Lazio e al successivo inoltro della stessa agli Uffici in indirizzo.

 


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Gestione in Bilancio e fiscale del sito internet

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E’ diventato oramai uno strumento di lavoro e di marketing irrinunciabile per chiunque: ci riferiamo al sito internet aziendale che può essere istituito per scopi diversi  ma quasi sempre per ampliare la propria offerta commerciale di beni o servizi e accaparrare nuovi clienti praticamente in ogni luogo. Ma le attività su internet si sono moltiplicate a dismisura negli ultimi anni, sono sempre di più le persone che scelgono il web per avviare una propria attività. Vediamo allora come le spese sostenute per la creazione o realizzazione di un sito web, siano detraibili come costi sostenuti e in quali modi e tempi porteremo a casa l’intero ammortamento del costo sostenuto.

Un sito web è formato da un’insieme di pagine, immagini, a volte musiche e video internet correlate tra loro, visibili da chiunque, e raggiungibili attraverso un indirizzo internet, ( oramai anche senza il prefisso del WWW) che presentano una struttura a volte semplice a volte articolata e complessa ma nella maggior parte dei casi diretta alla fornitura di informazioni o alla possibilità di acquisto di prodotti o servizi dell’azienda.

Un sito internet può essere composto da un semplice linguaggio di base ( es html ) o composto anche da software applicativi che consentono, all’interno del sito, si inviare e gestire informazioni attraverso una piattaforma interna, con accesso a un’area riservata e interazione tra cliente/fornitore di un determinato bene o servizio.

E’ ovvio che la complessità del lavoro effettuato per la realizzazione del sito può essere diversa a seconda dei casi e quindi anche i costi di realizzazione e di mantenimento, integrati con il pagamento di licenza d’uso per la gestione di eventuali software di gestione del servizio possono comportare dei costi notevoli che l’azienda deve sapere correttamente inquadrare nella gestione della propria contabilità.

Per capire bene come funziona il nostro sito cerchiamo quindi di comprendere meglio ad esempio  la distinzione tra software di base e software applicativi.

Il software di base ( software operativo) è composto dalle procedure e dai programmi necessari per il funzionamento dei computers  senza i quali non potrebbero effettuare il loro lavoro; pensiamo ad esempio al windows 10.

 software applicativi, invece, sono costituiti dall’insieme di procedure e istruzioni che consentono al computer  di assolvere specifiche funzioni in grado di rispondere alle esigenze dell’utente.

Istallare quindi un software di base è un’operazione fondamentale affinché il sistema funzioni correttamente e  ne consegue che il relativo costo di acquisto debba pertanto essere considerato unitamente a quello del cespite sui cui è installato. Tale considerazione  è prevista dall’applicazione del principio contabile OIC 16  relativo alle “Immobilizzazioni materiali” che prevede quindi che il costo del software di base, unitamente a quello dell’hardware, venga ammortizzato nel tempo a partire dal momento in cui il bene ( hardware e software di base ) entrano a far parte del processo produttivo con ragguaglio alla durata del periodo d’imposta se inferiore o superiore ai dodici mesi.

Nel caso del sito internet l’intera realizzazione dello stesso composta dalla creazione del sito stesso con le pagine fondamentali per la visualizzazione anche su dispositivi mobili (cd responsive web design) va considerata in questa ottica.
Mentre la realizzazione di software applicativi correlati ( es forum, e commerce, piattaforme etc )  si presenta, invece, più  complessa da inquadrare per la sua corretta  imputazione in bilancio.

Per far questo dobbiamo analizzare attentamente la composizione dei software applicativi e distinguere tra i seguenti casi:

  • se il software applicativo viene acquistato  o fatto realizzare con licenza d’uso propria a tempo indeterminato allora siamo in presenza di un bene strumentale e come tale il software dovrà essere iscritto nell’attivo patrimoniale come diritto di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno ai sensi del principio contabile OIC 24 entrerà a far parte delle Immobilizzazioni immateriali dell’azienda.
  • se il software viene acquistato già pronto da qualcuno che lo ha realizzato per rivenderlo allora siamo in presenza di una licenza d’uso a tempo determinato che andrà invece iscritta come concessioni, licenze, marchi e diritti simili  ed ai fini fiscali considereremo la durata dell’ammortamento parallelamente al periodo durante il quale è stata acquistata la licenza.
  • se il software viene autoprodotto in azienda se non sia stato registrato , i relativi costi possono essere dedotti interamente nell’esercizio di effettivo sostenimento ( esempio fatture di un informatico ovvero il costo del dipendente che materialmente lo ha realizzato).

In linea generale,  i costi sostenuti per la realizzazione e l’implementazione del sito internet andranno capitalizzati come beni strumentali; tale procedimento trae la sua logica nel fatto che il sito internet possa dimostrare un’utilità futura nel processi di vendita o di crescita aziendale in termini di incremento dell’efficienza e della competitività e stimando che nel tempo futuro si potranno recuperare i costi sostenuti per la realizzazione.

La gestione segue una logica come descritta poiché nessuna norma civilistica né i principi contabili nazionali contengono disposizioni specifiche sulla contabilizzazione e l’iscrizione in bilancio dei costi sostenuti per la realizzazione dei siti web aziendali.

Ad ogni modo nella realizzazione di un portale web che ad esempio integri il sito web tradizionale con sistemi gestionali accessibili dall’esterno (es piattaforma) sarà bene ripartire il costo complessivo tenendo conto delle due componenti e soprattutto richiedere una certificazione che attesti tale ripartizione  al soggetto incaricato della realizzazione del sito. quota attribuibile ad ogni esercizio.

Il Dominio internet

Una particolare attenzione va fatta per il dominio con il quale viene gestito il sito che, in molti casi, può assumere un valore notevole o addirittura essere acquistato per un valore notevole ( secondo l’importanza strategica, i precedenti accessi, le visualizzazioni etc)

Il dominio internet è il nome che contraddistingue in maniera univoca un server o un sito web e può essere acquisito esclusivamente in concessione per l’utilizzazione e mai in proprietà.
Le spese sostenute per l’utilizzo del dominio vanno capitalizzate  come “Concessioni, licenze e simili”, mentre le altre spese sostenute in vista dell’acquisizione del dominio, devono essere considerate costi pluriennali.
Spesso il dominio può diventare anche oggetto di marchio aziendale e registrato come tale; in questo caso il dominio segue il marchio.

La condizione per iscrivere un dominio internet come marchio in bilancio è che lo stesso sia identificabile nel patrimonio aziendale e abbia piena individualità da poterlo distinguere dall’azienda.
Fiscalmente, le quote di ammortamento dei marchi sono deducibili in misura non superiore ad 1/18 del costo sostenuto ovvero  derivante da eventuale perizia.

 


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La trasparenza fiscale

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La trasparenza fiscale

In tempi in cui c’è una corsa sfrenata alla costituzione di SRL semplificate, vale la pena ricordare l’opzione per la trasparenza fiscale prevista  proprio per queste tipologie di società spesso ad impatto minore e che garantisce spesso un risparmio d’imposta non indifferente ai soci nella distribuzione degli utili realizzati dall’impresa.



Vediamone insieme quindi le particolarità e i vantaggi e gli svantaggi per chi, decidesse di avvalersi di questa opportunità.

La tassazione classica di una società di capitali si basa sul fatto che, la società in quanto dotata di personalità giuridica diventa contribuente e come tale versa le proprie imposte ( IRES) determinate nella attuale misura del 27,50% ( che scenderà al  24% dal 1 gennaio 2017 ) el’IRAP ( che rimane invariata indipendentemente dalla modalità prescelta di tassazione).

Appare ovvio quindi che, un’aliquota fissa stabilita indipendentemente dall’ammontare del reddito percepito favorisce, nel caso di distribuzione degli utili, i soci che dichiarano un reddito più elevato di € 15.000,00 soggetto ad aliquota IRPEF nella misura del 23% mentre rimane più o meno invariato per i percettori di una fascia di reddito che si attesta tra i 15.000 e i 28.000 € di reddito dove l’aliquota  personale sale al 27% ( per la parte che eccede i 15.00 e entro i 28 mila euro).

Cosa accade quindi con l’opzione della trasparenza?

Semplicemente che il socio sceglie di dichiarare il reddito conseguito dalla società a livello personale, accollandosi quindi interamente la quota di reddito derivante dalla propria partecipazione societaria ( o da altro patto stabilito) sollevando quindi la società dal versamento delle imposte.

In questo modo si aprono ovviamente diversi scenari, poiché proprio nel caso in cui il socio abbia ad esempio come unico reddito quello derivante dalla partecipazione societaria, non solo può usufruire dell’aliquota ridotta ( 23%) nel caso in cui il reddito di assestasse nella prima fascia ma può beneficiare di tutte le detrazioni previste per i redditi delle persone fisiche

( eventuale coniuge e figli a carico, mutui, spese mediche etc)

Ma i benefici non finiscono qui. Infatti come ben sappiamo le imposte pagate dalla società sono indetraibili ai fini fiscali e costituiscono una ripresa in aumento nell’unico della società. L’accertamento delle imposte diventa un costo che confluisce nel bilancio e in molti casi può determinare una perdita civilistica a fronte di un utile fiscale. Quando la società si presenta in Banca per ottenere un finanziamento si vedrà analizzare un bilancio che, per effetto di riprese, tassazione e altre tipologie di situazioni può rappresentare un’azienda in difficoltà magari perché si è scelto di dare un compenso all’amministratore unico o agli amministratori ( che configura un costo per la società) e che quindi si è gravata di costi in luogo di distribuire utili ai soci. Ecco quindi che una società in trasparenza fiscale appare nella sua vera forma, mostrando un reddito effettivo e quini una sua identificazione sana e operativa che, nei confronti delle Banche e dei terzi ha sicuramente un’immagine più reale e trasparente.

L’esercizio dell’opzione e il rinnovo relativamente al regime di trasparenza fiscale di cui all’art. 116 Tuir, del consolidato fiscale e della tonnage tax, deve essere effettuato direttamente con la dichiarazione modello Unico presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione,  diversamente da quanto accadeva precedentemente  ovvero con apposita comunicazione telematica che veniva presentata dal commercialista entro la fine del primo periodo d’imposta di efficacia dell’opzione stessa (quindi entro il 31.12 per le società con periodo di imposta coincidente con l’anno solare).

Ricordiamo che il regime della trasparenza fiscale, già previsto per le società di persone, è un sistema in base al quale il reddito della società non è tassato in capo alla società stessa, ma gli utili o le perdite si imputano a ciascun socio, in proporzione alla propria quota di possesso, a prescindere dall’effettiva percezione.

Per procedere all’opzione per la trasparenza, la società deve in ogni caso aver acquisito il previo consenso da parte dei soci della società, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno inviata alla partecipata.

Chi intende aderire al regime di trasparenza a decorrere dal 2015, deve comunicarlo nel modello Unico SC 2015 (da trasmettere entro il prossimo 30 settembre), che si è dotato di un nuovo quadro, il quadro OP, dedicato proprio alle comunicazioni per i regimi opzionali, di cui la sezione III è dedicata al regime in commento.

Questa nuova modalità di comunicazione dell’opzione ha fatto emergere il problema circa la possibilità di optare per il regime di trasparenza a partire dal primo periodo di imposta per le società costituite nel corso del 2015 e per le società di persone trasformate in società di capitali nel corso del 2015, alla luce del fatto che tali soggetto non sono tenuti a presentare il modello Unico SC 2015.

La questione è stata recentemente risolta con la Risoluzione 14 settembre 2015, n. 80/E, che ha accolto la richiesta di una società di capitali, appena trasformatasi in una società di persone, di poter usufruire dell’opzione del regime di tassazione per trasparenza previsto dall’art.116 del Tuir, così come modificato dal D.lgs.175/2014.

La motivazione di tale concessione sta nel fatto che all’interno della relazione illustrativa allo schema del D.Lgs.175/2014 “non emerge alcuna volontà, in riferimento al loro primo anno di imposta, di escludere dall’applicazione dell’opzione le società neo-costituite o trasformate”.

Di conseguenza i soggetti interessati, siano essi società neocostituite o trasformate nel corso del 2015, possono optare per il regime di trasparenza per il triennio 2015-2017 utilizzando la vecchia modalità, ossia a mezzo del modello di comunicazione dell’esercizio dell’opzione approvato con provvedimento del 4 agosto 2004, da presentare però entro il termine di presentazione della dichiarazione, quindi entro il 30 settembre e non più entro il 31 dicembre.

Mentre dovremo utilizzare il modello “Comunicazioni per regimi Tonnage tax, Consolidato e Trasparenza” anche nel caso in cui dovremo comunicare la perdita di efficacia o interruzioni del regime o, nel caso di consolidato, variazioni del gruppo. Ricordiamo infatti che nel quadro OP del modello Unico è prevista esclusivamente la possibilità di comunicare l’opzione, la revoca e la conferma per la trasparenza; quando non è possibile utilizzare il modello Unico, ovvero in caso di società appena costituite o trasformate nel corso del periodo di imposta.
La comunicazione di adesione al regime di trasparenza fiscale di una società partecipata deve essere effettuata direttamente nel modello Unico SC (quadro OP RIGHI OP11 – OP 15) presentato nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si vuole esercitare l’opzione per questo regime fiscale.
Per esempio: una srl con esercizio 1/1 – 31/12 che voglia optare dal 2016 per la tassazione per trasparenza dovrà, con le nuove disposizioni, comunicare l’opzione direttamente nel modello Unico SC 2016 (redditi 2015), entro 30/09/2016, anziché entro il 31/12/2016 come avveniva precedentemente.
A tal fine in Unico 2015 SC nel quadro OP sono presenti gli appositi righi. In particolare nel rigo OP11 va barrata la casella in funzione della tipologia della comunicazione effettuata (opzione, rinnovo o conferma), mentre nei righi da OP12 a OP15 vanno indicati i codici fiscali dei soggetti partecipanti ai sensi degli artt. 115 e 116 del TUIR, cioè va riportato, in colonna 1, il codice fiscale della persona fisica partecipante e, in colonna 2, il codice fiscale della società.
Le eventuali omissioni di adesione al regime potranno essere sanate attraverso la presentazione di un modello Unico rettificativo (contenente l’opzione) entro 90 giorni dal termine ordinario di presentazione, senza l’applicazione di alcuna sanzione amministrativa.
Per procedere all’opzione per la trasparenza, la società ha la necessità di acquisire in via preliminare il consenso da parte dei soci della società, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno oppure PEC inviata alla partecipata. L’Agenzia esclude la possibilità di utilizzare una raccomandata a mano, in quanto la ricevuta di ritorno o le ricevute di consegna della PEC rispondono all’esigenza di rendere certa la volontà dei soci in merito all’adesione al regime della trasparenza fiscale, non soltanto nei confronti della partecipata, ma anche dell’Amministrazione finanziaria.
Un caso a parte è quello della S.r.l. unipersonale in cui il socio è il medesimo amministratore: in questa situazione, anche per evitare l’anomala situazione in cui il socio manifesta a se stesso la volontà di esercitare l’opzione, l’Agenzia si è espressa (con la R.M. n. 361/E/2007) affermando che l’opzione per la trasparenza fiscale deve ritenersi validamente perfezionata anche qualora manchi l’espressa comunicazione formale del socio unico.

Ripartizione dell’utile ai soci
Quando si opta per il regime di trasparenza la ripartizione degli utili societari si  presume che venga distribuito ai soci in base alle rispettive quote di partecipazione all’interno della società ed indipendentemente dal fatto che poi l’utile venga effettivamente distribuito ai soci o rimanga nella società attraverso la distribuzione a Riserve analogamente a quanto già accade nelle società di persone.
Nel regime di tassazione ordinario, viceversa, se l’utile tassato in capo alla società viene distribuito successivamente ai soci la tassazione IRPEF  sale al 49,72% dell’utile effettivamente distribuito nel caso di partecipazione qualificata (consentono una percentuale di voto superiore al 20% come diritto di voto e al 25% come patrimonio) ovvero del 26% nel caso di partecipazione non qualificata( tutti gli altri casi).

Pertanto il socio sosterrà le imposte nell’esercizio di distribuzione effettiva degli utili mediante il principio di cassa ma  pagherà le imposte solamente sull’utile civilistico effettivamente percepito e non su quello rilevante ai fini fiscali derivante dalle riprese fiscali.

Quindi il vantaggio del regime trasparente permette di annullare la doppia imposizione sui dividendi ovvero di pagare sia il 27,50% a titolo di IRES da parte della società sia la tassazione prevista per il socio in caso di distribuzione di utili.

ATTENZIONE: in entrambi i casi ovvero nella tassazione ordinaria e nella tassazione per  trasparenza è sempre dovuta l’IRAP in capo alla società partecipata.

Il regime di trasparenza resta non conveniente per le società che, per fini istituzionali o strategia aziendali sono abituate o costrette ad accantonare a riserva gli utili o a distribuirne solamente una minima parte ai soci. Un caso specifico è quello introdotto dalla  L. n. 99/2013 ed esattamente nella costituzione di SRL con capitale inferiore a €10.000 nella quale è obbligatorio  destinare almeno un quinto ( 20%) degli utili annuali a riserva legale, fino a quando non sia raggiunto il capitale minimo di € 10.000.

L’opzione per la trasparenza fiscale e l’Inps

I soci che aderiscono al regime della trasparenza debbono comunque fare i conti con l’INPS.

Per costoro è infatti prevista l’iscrizione alla gestione INPS commercianti o artigiani ( in base all’attività esercita dalla società) con il presupposto che il socio in trasparenza sia un socio lavoratore all’interno della compagine societaria.

La tutela del socio lavoratore è contenuta in una disposizione speciale; l’art. 1 comma 202 e seguenti della legge n. 23 dicembre 1996 n. 662 il cui obiettivo è quello di evitare che la prestazione del socio che lavora all’interno della sua azienda, attraverso lo schermo della struttura societaria  ( ad esempio della SRL) venga sottratta alla contribuzione previdenziale.

A tal scopo la circolare n. 74  dell’Inps del 2014 ci illustra con chiarezza le modalità del reddito  derivante da partecipazione societaria da assoggettare a contribuzione INPS ( analogamente a quanto avviene per le società di persone) della quale riportiamo in calce un sunto:

Circolare Inps n. 74 del 06/06/2014

In merito all’individuazione dell’ammontare del reddito da assoggettare all’imposizione dei contributi previdenziali, nel far rinvio alle precisazioni fornite con circolare n. 102 del 12 giugno 2003, si fa presente che deve essere preso in considerazione il totale dei redditi d’impresa conseguiti nel 2013, al netto delle eventuali perdite dei periodi d’imposta precedenti, scomputate dal reddito dell’anno.

Per i soci di S.r.l. iscritti alle gestioni degli artigiani o dei commercianti la base imponibile, oltre a quanto eventualmente dichiarato come reddito d’impresa, è costituita dalla parte del reddito d’impresa della S.r.l. corrispondente alla quota di partecipazione agli utili, ovvero alla quota del reddito attribuita al socio per le società partecipate in regime di trasparenza.

Ciò premesso, si indicano, di seguito, gli elementi che costituiscono la base imponibile per il calcolo della contribuzione dovuta, indicati eventualmente nei quadri RF (impresa in contabilità ordinaria), RG (impresa in regime di contabilità semplificata e regimi forfetari) e RH (redditi di partecipazione in società di persone ed assimilate):

RF63 – (RF98 + RF100, col.1) + [RG31 – (RG33+RG35, col.1)] + [somma algebrica (colonne 4 da RH1 a RH4 con codice 1,3 e 6 e colonne 4 da RH5 a RH6) – RH12] + RS37 colonna 11.

Si sottolinea che i redditi in argomento devono essere integrati anche con quelli eventualmente derivanti, agli iscritti alle Gestioni, dalla partecipazione a società a responsabilità limitata denunciati con il mod. Unico SC (società di capitali).


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La donazione di immobili

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La donazione di immobili

La donazione di un immobile è sempre frutto di una decisione complessa e spesso non semplice che viene effettuata sulla base di diversi criteri specie nei passaggi generazionali di padre in figlio ma i dubbi sono sempre molti: come fare un atto di donazione, determinare il valore degli immobili e conservare le opportune garanzie anche con i propri figli? La donazione è un vero e proprio contratto, nel quale il soggetto donante trasferisce al donatario sempre a titolo gratuito, cioè senza chiedere niente in cambio un bene. Possono rientrare nella donazione anche la costituzione di un nuovo diritto su un bene  come ad esempio  l’usufrutto e l’abitazione; questo è un atto importante per chi vuole conservare una certa autonomia sul bene ( restando usufruttuario magari a vita) ma nel contempo trasferire tutti i beni non avendo più pensieri in vita. Inoltre è possibile anche liberare un obbligo come la rinuncia a un credito o stabilire una prestazione.

La donazione va sempre formalizzata davanti a un notaio essendo un atto pubblico alla presenza di due testimoni  con esclusione di  coniugi,  parenti o affini e le persone in qualche modo interessate all’atto a prescindere dal valore del bene donato. In mancanza di tali requisiti, il contratto si considera nullo.

Le due parti donante e donatario devono indicare il valore del bene ed essere concordi nel donare e nell’accettare il regalo  manifestando reciprocamente la loro volontà davanti al notaio.


Viene escluso l’intervento notarile nella donazione manuale quando cioè la donazione è di modesto valore e  non incide in maniera significativa sulla ricchezza di chi dona.

E’ importante sapere che per procedere a una  una donazione è obbligatorio avere la piena capacità di agire e quindi  non possono donare i minori, gli interdetti, gli inabilitati e  le persone soggette ad amministrazione di sostegno se sono state private della capacità di disporre dei propri beni anche attraverso  il proprio legale rappresentante.

Possono donare anche le persone giuridiche, pubbliche e private e a favore anche  di figli non ancora nati o concepiti ma  non si può donare un bene futuro ovvero che non si trova nel patrimonio del donante al momento della donazione. I Minori e interdetti possono accettare una donazione solo tramite i genitori o i loro legali rappresentanti che, a loro volta, devono essere autorizzati dal giudice tutelare.

La revoca della donazione

La donazione come tutti i contratti  è un atto revocabile ma per farlo è necessario l’accordo di entrambe le parti con un’unica deroga:  si può revocare per  ingratitudine vale a dire quando il donatario abbia commesso reati gravi nei confronti del donante e dei suoi congiunti oppure  per sopravvenienza di figli (quando cioè il donante abbia figli o discendenti ovvero scopra di averne dopo aver fatto la donazione).

Quindi ad eccezione di questi due casi specifici analizzati quando si sceglie  di donare un bene, non si può più tornare indietro.

per sopravvenienza di figli, quando cioè il donante abbia figli o discendenti ovvero scopra di averne dopo la donazione.

Come determinare il valore dell’immobile oggetto di donazione.
Per i beni immobili oggetto di donazione:

  • per la piena proprietà, il valore è quello venale alla data dell’atto di donazione;
  •  per la proprietà gravata da diritti reali di godimento, il valore è dato dalla differenza tra il valore della piena proprietà e quello del diritto da cui è gravata;
  •  per i diritti di usufrutto, uso e abitazione il valore si ottiene moltiplicando il valore della piena proprietà per il tasso di interesse e per il coefficiente, relativo all’età del titolare del diritto.

Le imposte  sulla donazione di immobili.

Le aliquote sono le stesse previste per le successioni e variano in funzione del rapporto di parentela intercorrente tra il donante ed il beneficiario.
In dettaglio:

  •  il 4% per il coniuge e i parenti in linea retta, da calcolare sul valore eccedente, per ciascun beneficiario, 1 milione di euro;
  •  il 6% per fratelli e sorelle, da calcolare sul valore eccedente, per ciascun beneficiario, 100 mila euro;
  •  il 6% per gli altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta, affini in linea collaterale fino al terzo grado, da calcolare sul valore totale senza alcuna franchigia;
  •  l’8% per le altre persone, da calcolare sul valore totale senza alcuna franchigia.

Sulla donazione di un bene immobile o di un diritto reale immobiliare sono dovute inoltre l’imposta ipotecaria nella misura del 2% del valore dell’immobile e l’imposta catastale nella misura dell’1% del valore dell’immobile.


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La deducibilità dei costi auto

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deducibilita costi autoLa deducibilità dei costi auto

I costi sostenuti per l’ autovettura rappresentano indubbiamente  i maggiori indiziati nei casi di accertamento e nella deducibilità nonché oggetto di riprese fiscali nei bilanci di aziende e imprese individuali; sono quelli presi sempre sotto esame e demonizzati. Cerchiamo quindi di fare chiarezza con un articolo di facile e veloce consultazione, che speriamo faccia meglio comprendere  le percentuali di deducibilità del costo e di detraibilità dell’IVA sull’acquisto e la gestione delle auto (automobili, autovetture o autoveicoli per il trasporto di persone) a seconda nello specifico campo di attività della vostra azienda.

Partiamo dalla normativa attualmente in vigore derivata dalla legge di Stabilita’ per il 2013, che ha modificato l’art. 164 comma 1 del Tuir, prevedendo  la riduzione della percentuale di deducibilità per gli autoveicoli aziendali (ovvero auto non utilizzate esclusivamente come beni strumentali da imprese e professionisti) in questi modi:

  • autoveicoli non utilizzati esclusivamente come beni strumentali da imprese e professionisti: per questi  la percentuale di deducibilità del costo è pari al 20% (da applicare fino ad un costo massimo fiscalmente riconosciuto pari ad euro 18.075,99);
  • autoveicoli assegnati in “uso promiscuo” a lavoratori dipendenti  per i quali la percentuale di deducibilità del costo è pari al 70%;
  • agenti e rappresentanti di commercio; per loro rimane tutto  invariato ovvero 80% il costo annuo fiscalmente riconosciuto e euro 25.822,84 euro il massimale di costo per l’acquisto dell’auto.

A questo punto è necessario capire l’inquadramento dellla specifica attività esercitata che può sussistere in:

  • autovettura concessa in uso promiscuo al dipendente o all’amministratore.
  •  un agente o un rappresentante di commercio.
  • azienda che fa un uso dell’auto non esclusivamente strumentale all’attività;
  • azienda che per la specifica attività che svolge ( es taxi autonoleggio, autotrasporto, scuole guida, pompe funebri  etc ) fa  un uso dell’auto esclusivamente strumentale all’attività;
  •  Esercente Arti o Professioni ( Professionista lavoratore autonomo in possesso di partita Iva che sia o meno iscritto a un albo professionale) ;

Ma quali sono i costi da considerare per la detraibilità che deve essere vista con due concetti differenti ovvero quello relativo alla deducibilità del costo e quello relativo alla detraibilità dell’IVA.

Prima di addentrarci nella lettura  di una tabella esemplificativa e di veloce consultazione delle specifiche percentuali di detrazione e deducibilità analizziamo con cura quali sono i costi da considerare e che coinvolgono il panorama delle autovetture:

  • ammortamento del costo d’acquisto ( costituito dalla ripartizione negli anni del costo ivi inclusa la parte dell’IVA non detratta);
  • canoni di leasing ( inclusa IVA non detratta);
  • spese di locazione e di noleggio ordinario o a lungo termine;
  • carburanti e lubrificanti ( da schede carburante);
  • assicurazione ( il costo di competenza dell’anno valevole solo per il costo);
  • spese di manutenzione e riparazione;
  • spese di custodia (locazione di autorimesse, parcheggi etc ).

Percentuali di deducibilità e detrazione:

Tipologia  detraibilità Iva deducibilità costo
Professionisti /Artisti
Acquisto 40% 20%
Leasing 40% 20%
Noleggio 40% 20%
 Aziende con uso auto strumentale attività
 Acquisto 100% 100%
Leasing 100% 100%
Noleggio 100% 100%
 Aziende con uso auto non strumentale
Acquisto 40% 20%
Leasing 40% 20%
Noleggio 40% 20%
Agenti e Rappresentanti
Acquisto 100% 80%
Leasing 100% 80%
Noleggio 100% 80%
auto in uso Promiscuo
addebito busta paga
Acquisto 40% 70%
Leasing 40% 70%
Noleggio 40% 70%
Addebito con fattura
Acquisto 100% 70%
Leasing 100% 70%
Noleggio 100% 70%

ATTENZIONE: l’utilizzo dell’auto come bene strumentale per l’impresa viene inteso quello senza il quale l’attività di impresa non può essere esercitata; è il caso ad esempio del tassista o delle pompe funebri e di altre tipologie per cui bisogna fare estrema attenzione ad individuare nel modo corretto la situazione specifica caso per caso.

Mentre per le auto acquisite con contratti di leasing si ricorda che, con l’art. 4-bis del D.L. n. 16/2012 è stata eliminata, per i contratti stipulati dopo il 29 aprile 2012, la “durata minima del contratto”, rimanendo la deducibilità del costo parametrata a un periodo non inferiore al periodo di ammortamento risultante dall’applicazione dei coefficienti ministeriali, attualmente fissati dal D.M. del 31 dicembre 1988.

Infine analizziamo in maniera più approfondita il concetto dell’ auto data in uso promiscuo ai dipendenti che dobbiamo intendere come un uso concesso per la maggior parte del periodo di imposta ovvero  metà più uno dei giorni che compongono il periodo stesso. L’ uso deve essere comprovato da un documento specifico come ad esempio inserito nel contratto di lavoro del dipendente stesso oppure da lettera raccomandata al verificarsi di un tale evento che ne leggittimi l’uso stesso (esempio acquisizione di un cliente dove il dipendente dovrà andare a lavorare in sede) o altra tipologia. Nel caso di veicoli acquistati o ceduti nel corso del periodo di imposta l’uso al dipendente deve risultare per la maggior parte del periodo di possesso. Ai fini del computo del periodo non è necessario che tale uso sia avvenuto in via continuativa, né che il veicolo sia stato utilizzato da uno stesso dipendente. Poiché l’uso concesso al dipendente costituisce un compenso in natura, al dipendente beneficiario dovrà essere  attribuito un fringe benefit in busta paga. Ai fini della deducibilità dovranno quindi sussistere due prerequisiti:

  1. assegnazione, per la maggior parte del periodo di imposta, del veicolo al dipendente;
  2. attribuzione in busta paga di un fringe benefit pari al 30% del costo del veicolo in uso, come da tariffe ACI, corrispondente a una percorrenza convenzionale di 15mila chilometri annui.

Se non sono soddisfatti i predetti requisiti valgono le regole generali di deducibilità per i veicoli a uso esclusivo aziendale non strumentali (vedi tabella).

ACQUISTO AUTO:

esercenti Arti e professioni

per le autovetture costo deducibile fino ad € 18.075,99, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;
per i motocicli costo deducibile fino ad € 4.131,66, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità; si definiscono motocicli i veicoli a due o tre ruote con motore di cilindrata superiore a 50 cm3 o capacità di sviluppare una velocità oltre i 45 km/h. Quando non superano tutti e due i limiti sopra citati sono considerati ciclomotori.
per i ciclomotori costo deducibile fino ad € 2.065,83, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;

LEASING:

per le autovetture deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 18.075,99 con ragguaglio annuo;
per i motocicli (sopra definiti) deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 4.131,66 con ragguaglio annuo;
per i ciclomotori (sopra definiti) deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 2.065,83 con ragguaglio annuo;

NOLEGGIO:

per le autovetture deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 3.615,20 con ragguaglio ad anno;
per i motocicli (sopra definiti) deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 774,69 con ragguaglio ad anno;
per i ciclomotori (sopra definiti) deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 413,17 con ragguaglio ad anno.

Agenti e Rappresentanti di commercio
I seguenti limiti sono invece validi per un Agente o un Rappresentante di commercio:

ACQUISTO:

per le autovetture costo deducibile fino ad € 25.822,84, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;
per i motocicli (sopra definiti) costo deducibile fino ad € 4.131,66, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;
per i ciclomotori (sopra definiti) costo deducibile fino ad € 2.065,83, valore sul quale si applica l’aliquota di deducibilità;
LEASING: deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 25.822,84 con ragguaglio annuo;

per le autovetture deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 25.822,84 con ragguaglio annuo;
per i motocicli (sopra definiti) deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 4.131,66 con ragguaglio annuo;
per i ciclomotori deducibile l’ ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di un veicolo fino ad € 2.065,83 con ragguaglio annuo;
NOLEGGIO:

per le autovetture deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 3.615,20 con ragguaglio ad anno;
per i motocicli (sopra definiti) deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 774,69 con ragguaglio ad anno;
per i ciclomotori (sopra definiti) deducibile il costo del canone del noleggio fino ad € 413,17 con ragguaglio ad anno.

Autovettura concessa ai dipendenti in “Fringe benefit”

Le auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti (per la maggior parte del periodo d’imposta) non sono invece soggette al limite massimo di deducibilità di € 3.615,20 annui.  Se però l’autovettura viene assegnata ad un amministratore o a più amministratori queste non rientrano tra le “auto concesse in uso promiscuo ai dipendenti”.

 


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