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calcolo cedolare secca su affitti

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calcolo convenienza cedolare seccaCedolare secca sugli affitti: valutazione calcolo di convenienza

Quando ci troviamo  a dover affittare un immobile  il primo pensiero corre alla tasse che dovremo pagare sugli affitti e  per chi ha dei redditi sostanziosi questo si traduce in un vero e proprio gioco al massacro, soprattutto perché  gli affitti non beneficiano di molte deduzioni dal reddito e anzi  dal 2013  con la L. 92/2012 la deduzione forfettaria è passata al 5% consegnando la quasi totalità del reddito alla massima tassazione applicabile nel quadro N della Dichiarazione dei redditi.

Fortunatamente con l’introduzione della cedolare secca  è stata data facoltà alla persona fisica  (che al di fuori di attività d`impresa o di lavoro autonomo, affitta a terzi immobili  ad esclusivo uso abitativo con relative pertinenze ) di tassare i canoni con un`imposta “secca” del 21%, ( o del 10% se a canone concordato) sostitutiva dell`Irpef, delle addizionali comunale e regionale, delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione nonché sulle risoluzioni e sulle proroghe del contratto stesso.
Ecco quindi che si apre uno scenario incredibile che, se ben valutato consente un notevole risparmio d’imposta. Appare evidente infatti che, a fronte di un minor introito del canone di locazione  ( assenza di rivalutazione ISTAT ) e quindi di un congelamento dell’importo nel tempo è possibile ” sganciare ” dal reddito complessivo l’importo del canone di locazione e, nel caso di un comune ad alta densità abitativa adottando un canone ancora più basso ( che permette una maggiore facilità di pagamento all’inquilino soprattutto in tempo di crisi) si ottiene un risparmio di imposta non indifferente che ” compensa” il minor canone percepito.
Ma non sempre la cedolare secca è conveniente per tutti. Pensiamo a chi non percepisce altra forma di reddito, pensiamo a chi sostiene nell’anno forti spese mediche o di altra natura; oppure a chi si trova già in un regime reddituale agevolativo ( esempio regime dei minimi) e che quindi si troverebbe con l’handicap da una parte per non poter detrarre oneri deducibili o detraibili e dall’altra con una aliquota Irpef minore ( 23%) che di certo non è molto lontana dal 21% adottabile con la cedolare secca.
Studiamo insieme quindi,  in collaborazione con lo studio Avvocato Andreani attraverso l’utilissimo software da loro creato appositamente per il web  una rapida  valutazione di convenienza sull’adozione delle diverse tipologie contrattuali.
Inseriamo tutti i dati e  valutiamo le tre diverse tipologie contrattuali applicabili ai canoni di affitto.
Altro notevole vantaggio dell’applicazione della cedolare secca è che non pagheremo imposte di registro né sulla prima registrazione né sul rinnovo evitando la bruciante seccatura di ricordarci ogni anno di pagare L’ F23 conteggiando il dovuto al fisco e inoltre saremo esentati anche dall’imposta di bollo. Il legislatore ha consentito di applicare la cedolare secca anche ai contratti di locazione per i quali non sussiste l’obbligo di registrazione (art. 3, comma 2 D.Lgs. n. 23/2011) come ad esempio le locazioni turistiche, dove gli oneri di bollo e di registro per questi contratti (che possono essere anche di breve durata)  rappresentavano una vera e propria spina nel fianco. Per queste tipologie   il locatore può comunicare la sua intenzione di applicare la cedolare secca all’Agenzia delle Entrate direttamente in sede di dichiarazione dei redditi (salvo il caso in cui il locatore, pur  non essendo obbligato, provvede alla registrazione del contratto). Come si versa? Gli importi dovuti sebbene fissati separatamente e con dei codici versamento che vedremo successivamente seguono  lo stesso meccanismo di versamento dell’IRPEF e, quindi, la cedolare secca è versata a saldo e acconto con facoltà di rateizzazione. La cedolare secca viene anche definita una flat tax e, come tale avvantaggia i percettori di redditi elevati. In sostanza, più il reddito è elevato più aumenta il vantaggio fiscale dell’applicazione della cedolare secca rispetto alla tassazione Irpef che è progressiva.
Codici F24 di versamento :
a Giugno o Luglio
Saldo Cedolare secca anno tassazione : cod 1842 –> rateizzabile
Acconto  Cedolare secca anno successivo: cod 1840 –> rateizzabile
a Novembre
Secondo acc. Ced. secca anno successivo : cod 1841 –> non rateizzabile

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nuovi incentivi alle rinnovabili

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Ideensammlung - Erneuerbare Energien

 

Nuovi incentivi alle rinnovabili

Sta partendo un decreto n decreto da 9 miliardi di euro che investirà in 20 anni sulle energie  rinnovabili. Interessate tutte le aziende che operano su energie alternative quali eolico, geotermia, termodinamico e biomasse.

L’Italia è all’avanguardia e il governo investe  sull’energia green insieme a Enel, Eni e Terna. Il Decreto del Ministero per lo sviluppo economico prevede oltre 400 milioni di euro l’anno di incentivi per nuovi impianti,a favore dei nuovi impianti che verranno selezionati nel 2016.
ampio anche il periodo di incentivazione che verrà spalmato su venti anni e venticinque per il solare termodinamico.

I nuovi incentivi verranno comunque erogati nel rispetto del tetto complessivo di 5,8 miliardi di euro annui previsto per le energie rinnovabili, diverse dal fotovoltaico, oggi in bolletta.
Gli incentivi verranno assegnati attraverso procedure di aste al ribasso differenziate per tecnologia per gli impianti di grandi dimensioni (>5 MW), mentre gli impianti inferiori a tale soglia dovranno chiedere l’iscrizione ad appositi registri.
Lo schema di Decreto era stato preventivamente autorizzato dalla Commissione Europea per garantirne la compatibilità con le linee guida sugli aiuti di Stato in materia di energia e ambiente.
Il Decreto garantisce incentivi specifici per ciascuna fonte. In particolare, alle tecnologie “mature” più efficienti (come l’eolico) viene assegnata circa la metà delle risorse disponibili.
La restante parte è equamente distribuita tra le tecnologie ad alto potenziale, con forti prospettive di sviluppo e penetrazione sui mercati esteri, come ad esempio il solare termodinamico, e alle fonti biologiche il cui utilizzo è connesso alle potenzialità dell’economia circolare.

Una nuova boccata d’ossigeno per le imprese italiane che operano nel settore.

Richiedi maggiori informazioni qui.


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Finanziamenti e versamenti dei soci nelle SRL

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I Finanziamenti e versamenti dei soci nelle SRL e nelle società di capitali

Sempre più frequentemente le società di capitali e in particolare le SRL, soprattutto  subito dopo la costituzione o nei momenti di crisi, per non ricorrere al finanziamento bancario o quando questo non sia sufficiente,  ricevono finanziamenti da parte dei soci  nell’ambito dell’ordinaria gestione aziendale.

Si ricorre all’ apporto dei soci in via prevalente  quando la società ha necessità di reperire risorse finanziarie ma ha difficoltà a reperire tali risorse sul mercato e/o a sostenerne gli elevati costi.

Ma cerchiamo di capire bene come le somme erogate dai soci possano affluire alla società :

A)  finanziamento dei soci : si tratta di un vero e proprio prestito fruttifero o infruttifero di interessi; la modalità di tale versamento deve essere prevista dallo statuto e deliberato dall’assemblea dei soci;

B) versamento  dei soci: si tratta di somme erogate a fondo perduto,  quindi costituenti capitali che andranno registrati in conto futuro aumento di capitale o per copertura perdite; in pratica serviranno ad incrementare il capitale ovvero ad  appianare  perdite verificatesi nell’esercizio in cui vengono deliberati o anche precedenti.

Finanziamenti dei soci

Questi si presumono sempre fruttiferi di interesse salvo che non sia deliberato diversamente  con un tasso minimo applicabile pari a quello legale o superiore  e  prevedono che il denaro sia restituito ai soci.

Quindi la prima differenza sostanziale è che il finanziamento è una erogazione temporanea di liquidità che il socio fa nei confronti della società applicando un tasso di interesse per far fronte a un periodo prestabilito ma si aspetta la restituzione del prestito non appena la società avrà recuperato la liquidità necessaria.  ( es un cliente che tarda a pagare o un investimento immediato che porterà frutti in un tempo futuro).

E’ importante sapere che il ricorso al prestito soci è soggetto alle limitazioni previste dal C. I. C. R. nella Deliberazione 19 luglio 2005 n. 1058 poiché le società possono raccogliere risparmio presso soci, con modalità diverse dall’emissione di strumenti finanziari, purché:

  • tale facoltà sia prevista nello statuto;
  • i soci finanziatori detengano almeno il 2% del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato;
  • i soci finanziatori siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi.

Le società possono raccogliere risparmio, con modalità diverse dall’emissione di strumenti finanziari, presso società controllanti, controllate o collegate ai sensi dell’art. 2359 del codice civile e controllate da una stessa controllante.

Modalità di erogazione del prestito:

Ovviamente il prestito concesso, sia  sia fruttifero sia infruttifero, se effettuato in forma scritta  deve scontare l’imposta di registro ed è soggetto a registrazione ( verbale di assemblea ) come atto scritto.

Questa è sicuramente la modalità corretta e auspicabile anche se leggermente onerosa mentre altre interpretazioni prevedono che il socio e la società decidano per il prestito mediante scambio di corrispondenza tra socio e società. In  questo modo viene evitata l’applicazione  dell’imposta di registro ma è necessario fare scrupolosamente attenzione a non apporre  le firme del socio e della società sullo stesso documento; per chi decidesse di applicare questa modalità sarà quindi opportuno prevedere la proposta della società e la successiva accettazione del socio.

Versamenti a fondo perduto

In questo caso la società si rende conto di aver bisogno di una capitalizzazione effettiva e duratura, quindi non un arco temporale di fabbisogno legato a un progetto o a una momentanea deficienza di liquidità ma un vero e proprio impegno definito dei soci che, pur non volendo procedere a un formale aumento di capitale, decidono di capitalizzare la società con nuovi conferimenti che per propri  motivi non andranno a formalizzare con un effettivo aumento di capitale.

In questo caso il denaro entra nella società ma non ne uscirà più poiché  manca una specifica ed esplicita pattuizione da cui scaturisca un obbligo di restituzione ai soci dei versamenti effettuati.

Avremo perciò una vera e propria riserva di capitale,  che andrà ad incrementare il patrimonio netto in conto futuro aumento di capitale  con uno specifico vincolo di destinazione.

Versamenti in conto aumento di capitale

Qui siamo in presenza di  una richiesta di aumento a pagamento del capitale sociale da parte della società, già deliberato e che è stato comunicato al  Registro delle imprese da parte dell’amministratore.  I versamenti già effettuati vengono rilevati in un conto transitorio acceso a una riserva di capitale, che verrà poi imputata al capitale sociale, una volta perfezionata l’intera operazione. Se la procedura non si perfeziona, i soci hanno diritto alla loro restituzione.

Vediamo invece gli obblighi della società nei confronti dei soci :

 finanziamenti erogati dai soci alle Srl possono essere restituiti solo dopo avere soddisfatto le altre poste debitorie che gravano sulla società. La postergazione si applica se il finanziamento è erogato in un momento in cui risultino un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o una situazione in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento piuttosto che un finanziamento.

La presunzione di obbligo di restituzione per le somme trasferite dai soci alla società  prevede che le somme erogate dai soci alla società siano date a titolo di mutuo, se dal bilancio non risulta una diversa iscrizione contabile. Quindi, solo i versamenti in conto capitale rilevati non tra le passività, bensì nel patrimonio netto, sfuggono alla presunzione fiscale di finanziamento.

La presunzione di fruttuosità dei capitali dati a mutuo: i finanziamenti dei soci si presumono fruttiferi, al saggio legale, se non è diversamente previsto in forma scritta. Similmente, si presumono percepiti gli interessi, salvo prova contraria, alla scadenza indicata nel contratto di mutuo. Se nulla è previsto, si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo d’imposta.

Delibera Cicr 19 luglio 2005, n. 1058
Condizioni per legittimare il prestito eseguito dai soci alla società: l’attività di raccolta di pubblico risparmio è riservata agli istituti di credito. Fanno eccezione i finanziamenti erogati dai soci alla propria società, a condizione che il socio ricopra tale status da almeno tre mesi e che detenga almeno il 2% delle partecipazioni societarie. Queste condizioni, non richieste per le società di persone, sono invece necessarie per i finanziamenti erogati dai soci alle società di capitali. Le disposizioni citate valgono anche per le cooperative che non abbiano più di 50 soci.

Obblighi fiscali: comunicazione all’Agenzia delle Entrate

Con provvedimento n. 94904 del 2 agosto 2013Tutti i soci che effettuano finanziamenti nelle società , in forma individuale o collettiva,  hanno l’obbligo di comunicare  all’Anagrafe tributaria i dati  e i relativi importi  delle persone fisiche, soci o familiari dell’imprenditore, che nell’anno hanno concesso finanziamenti all’impresa o effettuato capitalizzazioni alla stessa.

Questa comunicazione però va effettuata  solo se nell’anno di riferimento l’ammontare complessivo dei versamenti è pari o superiore a 3.600 euro inteso  come finanziamenti nell’anno o capitalizzazioni effettuate nell’anno.

Sono esclusi dall’obbligo di comunicazione i dati relativi a qualsiasi apporto di cui l’Amministrazione finanziaria è già in possesso (ad esempio, un finanziamento effettuato per atto pubblico o scrittura privata autenticata).

Vediamo in dettaglio caso per caso gli obblighi:

Non sono obbligati alla comunicazione:

  •  gli Apporti e finanziamenti ricevuti dalla società prima del 2014;
  • i versamenti di soci persone fisiche inferiori a €3.600;
  • i versamenti o gli apporti registrati da atto pubblico;
  • Apporti effettuati nel 2014 superiori a € 3.600per futuro aumento capitale sociale che viene rogitato successivamente; la chiave è l’uscita finanziaria;
  • finanziamenti effettuati da amministratori non soci ( anticipi per conto dell’impresa);
  • mancato prelievo dell’utile da parte del socio.

Sono obbligati alla comunicazione:

    • Versamenti di soci persone fisiche superiori a €3.600;
    • versamenti fatti dal familiare dell’imprenditore;
    • accollo di un debito della società da parte di un socio;
  • versamento dei soci a copertura perdite.

 


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Fisco e Equitalia: prescrizione e decadenza cartella

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Fisco e Equitalia: prescrizione e decadenza

della cartella esattoriale

In questo periodo, proprio mentre i consulenti sono tutti impegnati  per le scadenze fiscali è buona abitudine di Equitalia l’invio delle cartelle esattoriali con imposizioni di pagamento che a volte contengono errori e inesattezze. Spesso la notifica di una cartella segua il mancato ricevimento di una avviso bonario, con evidente penalizzazione da parte del contribuente che non può sanare le irregolarità rilevate con il pagamento di una sanzione ridotta e subendo quindi un vero salasso tra interessi, sanzioni e compenso di Equitalia stessa.

Cerchiamo quindi di fare luce sulle varie comunicazioni che il contribuente può ricevere e capire come comportarsi e cosa si rischia nell’adempiere o non adempiere alle varie richieste di regolarizzazione.

Quando si versa tardivamente una o più imposte ( o non si versano ) il passo successivo da parte dell’agenzia delle Entrate è l’invio di un avviso bonario, ovvero una comunicazione con la quale l’ Agenzia delle Entrate informa il contribuente del controllo effettuato sulla sua dichiarazione dei redditi, o altra dichiarazione,  evidenziando eventuali imposte e contributi che non risultano pagati o pagati in modo irregolare.
Si tratta di una semplice comunicazione, della quale il contribuente può richiedere spiegazioni,  l’annullamento o la rettifica, qualora ritenga infondata la richiesta, ( per errori dell’Ente magari il mancato aggancio dei tributi comunque pagati)  e redigere un’autotutela  determinando le nuove imposte da versare o chiedendo lo sgravio.

In caso di pagamento dovuto, è comunque possibile richiedere una rateizzazioni con le seguenti modalità:

  • fino a 5.000 euro, in massimo  8 rate trimestrali;
  • oltre 5.000 euro,  in massimo  20 rate trimestrali.

Tutte le rate sono di pari importo di pari importo ma il mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, oppure di una delle altre rate entro il termine di pagamento di quella successiva, comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena.

Se non si riceve l’avviso bonario ma direttamente la cartella è possibile recarsi presso l’agenzia delle Entrate competente per territorio e chiedere i dati della notifica dell’avviso bonario; se c’è stato un errore nella notifica l’Agenzia delle Entrate riporterà ala cartella notificata allo stato di avviso bonario, potendo quindi usufruire di sanzioni ridotte.

È nulla la cartella esattoriale notificata a seguito di controllo formale della dichiarazione dei redditi, se prima non è stato comunicato al contribuente l’esito del controllo mediante l’avviso bonario.

Se invece per scelta, si decide di non pagare l’avviso bonario, questo si trasformerà in ruolo.

Il ruolo non è altro che un elenco, formato dall’ente impositore ( in questo caso Agenzia delle Entrate (ma può essere l’Inps, l’inail, la Camera di Commercio etc) ai fini della riscossione, che contiene i nominativi dei debitori e le somme dovute.

Il ruolo viene trasmesso a Equitalia che provvede alle successive procedure che sono nel dettaglio:

  • predisposizione e notifica delle cartelle
  • riscossione delle somme e relativo riversamento alle casse dello Stato e degli altri enti impositori
  • in caso di mancato pagamento, avvio dell’esecuzione forzata.

Se non si paga la cartella nel termine di 60 giorni, sulle somme iscritte a ruolo sono dovuti gli interessi di mora maturati giornalmente; il compenso di riscossione per Equitalia che è calcolato sul capitale e sugli interessi di mora  e tutte le eventuali ulteriori spese derivanti dal mancato (o ritardato) pagamento della cartella.

In genere dall’avviso bonario alla cartella di Equitalia può passare un anno , un anno e mezzo, ma può anche succedere che ci si veda notificare atti vecchi anche di cinque o dieci anni. La prima cosa che viene in mente è che questi tributi siano prescritti e non dovuti ma attenzione, perché la conoscenza dei termini e delle decadenze è importante, soprattutto perché si può ricorrere alle cartelle ma bisogna farlo nei tempi giusti e non dare mai per scontato che ci possa essere una prescrizione o una decadenza.

E’ opportuno rivolgersi sempre a un professionista ( Commercialista o avvocato) nei più brevi tempi possibili utili per lo studio della pratica e l’elaborazione della strategia difensiva.

Per capire meglio come funzionano le prescrizioni e le decadenze facciamo una breve panoramica proprio su queste situazioni che si verificano sempre più di frequente.

La decadenza è un termine entro il quale Equitalia deve consegnare al contribuente la cartella di pagamento per la prima volta.

Per questo, Equitalia deve assolutamente notificare la cartella al contribuente entro i termini prescritti a pena di decadenza; se il contribuente non presenta ricorso entro i 60 giorni prescritti dalla normativa, decorre da quel momento il termine per riscuotere il dovuto da parte di Equitalia. Il termine varia in base al credito vantato e iscritto al ruolo.

La prescrizione invece è il termine concesso ad Equitalia per riscuotere il credito successivamente a quello della notifica della cartella di pagamento effettuata dall’ente creditore ( es Agenzia delle Entrate) al contribuente.

La prescrizione si interrompe se ad esempio Equitalia, prima della scadenza della stessa, provvede a notificare un sollecito di pagamento con nuova notifica ovvero se provvede a ad avviare atti di pignoramento, ipoteca o fermo amministrativo.

Si prescrivono nel termine di 10 anni: 

  • imposta catastale;
  • imposta di registro;
  • IVA – IRPEF – IRAP- TASI, Canone RAI;
  • diritto annuale della Camera di Commercio;

Si prescrivono nel termine di 5 anni: 

  • Tosap e contravvenzioni  stradali;
  • La Tari – i contributi INPS e INAIL;
  • L’IMU – ICI e TARI;
  • Le sanzioni amministrative tributarie.

A questo punto però è necessario fare chiarezza su ciò che viene notificato: ad esempio se Oggi nel 2016 riceviamo una cartella esattoriale per un ‘IRPEF non pagata del 2011 dobbiamo capire prima di tutto se questo è il primo atto che viene notificato da Equitalia.

Se effettivamente si tratta del primo atto emesso da Equitalia allora c’è sicuramente un problema di decadenza e  l’imposta non va pagata perché aveva tempo per notificarla fino al 31 dicembre del terzo  anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Presentazione redditi 2011 —> 30/09/2012

termine di decadenza —> 31/12/2015 

Siamo legittimamente abilitati a non pagare l’imposta.

Se invece prima della notifica della cartella da parte di Equitalia avevamo già ricevuto  avvisi di pagamento ( esempio ad aprile 2014) la richiesta di Equitalia è legittima e dobbiamo pagare.

Presentazione redditi 2011 —> 30/09/2012

avviso di pagamento di Equitalia —> 15/04/2014

interruzione delle prescrizione  

termine di decadenza —> 31/12/2017

Il  il termine di prescrizione , ricomincia nuovamente a decorrere dalla data della notifica della cartella. In altri termini, la notifica della cartella interviene per interrompere il precedente termine di prescrizione che ricomincerà a decorrere dal giorno successivo a quello di notifica.

L’introduzione del concetto stesso di “prescrizione” nel nostro ordinamento giuridico è stata approntata al fine di porre un limite temporale all’esercizio di attestazione di un proprio diritto. Nel caso non lo si rivendichi entro un determinato intervallo temporale previsto dalla legge, si ritiene implicitamente che il beneficiario abbia rinunciato a far valere tale diritto e non potrà mai più rivendicare alcunché nei confronti di nessuna controparte.

 


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Il Distacco di Personale e l’IVA

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Il Distacco del personale e sue  rilevanze ai fini IVA

Una problematica annosa che nel corso degli anni ha dato luogo a molteplici interpretazioni

Con il distacco di personale un datore di lavoro (distaccante), per soddisfare un proprio interesse, distacca ( mette un proprio lavoratore dipendente a disposizione ) a un  altro imprenditore (distaccatario), con il risultato che il dipendente rende la prestazione lavorativa a favore di quest’ultimo.

L’art. 8, comma 35, della Legge n. 67 del 1988 prevede che “non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.

Le operazioni concernenti prestiti o distacchi del personale sono fuori campo I.V.A. purché ricorrano, congiuntamente, le seguenti condizioni:

Il personale distaccato deve essere legato da un rapporto di lavoro dipendente con il distaccante, ma la relativa attività deve essere organizzata e diretta dal distaccatario.

Al contrario, se il potere direttivo e gerarchico è esercitato dal distaccante, la prestazione è imponibile (si vedano Ris. Min. 5 giugno 1995 n. 152/E, Ris. AE 2 agosto 2002 n. 262/E);

Il distaccatario deve corrispondere al distaccante solo il rimborso del costo del personale distaccato (retribuzione, fra cui si dovrebbero includere anche fringe benefit, oneri previdenziali e contrattuali).
Se invece le somme rimborsate sono superiori (o inferiori) al costo, come nel caso di rimborso forfetario slegato dal costo effettivo, l’intera operazione è imponibile, con l’aliquota I.V.A. ordinaria, in quanto la somma rappresenta un vero e proprio corrispettivo per la prestazione di servizi.
Tuttavia, è stato precisato che una lieve maggiorazione, pari a circa il 5% del costo sostenuto, dovuta ad oneri indiretti, quali aumenti di contingenza, rivalutazione delle indennità di fine rapporto ecc. non ne determina l’imponibilità (CTC del 4 gennaio 1996 n. 13).

Da quanto finora evidenziato si può concludere affermando che il distacco del personale, qualora ricorrano entrambe e congiuntamente i due requisiti suddetti, è configurabile come un’anticipazione fatta in nome e per conto della controparte e quindi esclusa dalla base imponibile, ai sensi dell’articolo 15, comma 3, del DPR 633/72.
In caso contrario è imponibile, e il distacco è assoggettabile ad I.V.A. ai sensi del D.P.R. 633/72.

Nel corso degli ultimi anni, la giurisprudenza  si è occupata più volte della varie problematiche legate al distacco di personale specificatamente ai fini IVA arrivando con la sentenza della Corte di Cassazione del 7.11.2011, n. 23021,  a mettere in discussione proprio  il trattamento Iva delle somme erogate a fronte di prestiti o distacchi del personale, stabilendo che laddove il corrispettivo erogato dall’ impresa distaccataria nei confronti dell’impresa distaccante non corrisponda al mero rimborso del costo del lavoro, l’operazione si deve considerare per intero rilevante ai fini Iva.

L’ Agenzia delle Entrate, invece, ha preso nel tempo posizioni diverse arrivando infine a stabilire, con propria  Risoluzione Ministeriale  n. 346/E del   5.8.2002, l’irrilevanza IVA nel solo caso di “ribaltamento” del mero costo del lavoro, ai sensi della Legge n. 67/1988;  l’operazione deve  intendersi quindi rilevante ai fini Iva ( quindi imponibile)  solo nel caso in cui siano rimborsate somme superiori od anche inferiori.

La conclusione di assoggettare ad imposta l’intero corrispettivo attribuito al distaccante, nell’ ipotesi in cui lo stesso sia differente al mero ristoro del costo del lavoro, è confermato dall’ introduzione successiva della disciplina dei contratti di lavoro temporaneo (c.d. lavoro “interinale”), ad opera della Legge n. 196/1997.

Possiamo quindi affermare che l’operazione di distacco non è rilevante ai fini IVA  solamente se il rimborso erogato dal soggetto distaccatario corrisponde al costo del lavoro sostenuto dall’ impresa distaccante;

Si ha invece rilevanza ai fini IVA se  se l’importo del corrispettivo erogato  dall’impresa distaccataria è superiore o inferiore  al costo del lavoro sostenuto dall’impresa distaccante.


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Il regime fiscale per la guida turistica e accompagnatore turistico

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Il regime fiscale per la guida turistica e accompagnatore turistico

Analizziamo il regime fiscale e contributivo  applicabile delle guide e accompagnatori turistici analizzato anche a seguito dei vantaggi rappresentati dall’introduzione del regime forfetario unico e la proroga del regime dei minimi.

Il Pos a costi sostenibili

Per le aziende il  pos è notariamente un problema perché  è un costo in più.  Ha notoriamente un costo elevato per la sua gestione sia in termini di canoni sia per le alte commissioni.  SUMUP risolve il problema costi perché è un pos trasportabile ovunque senza canoni mensili e appena l’1,95 per cento di commissioni più basso di quelle bancarie. Turismo e fisco ha stipulato una convenzione con loro x tutti i clienti per cui vi invio uno sconto per acquistare un lettore carte SumUp (parte da 15 euro solo una volta) e in questo modo potrete accettare pagamenti con carta di credito e debito. Per avere la convenzione dovete iscrivervi cliccando il seguente link: POS SUMUP

Prima di addentrarci nella complessità di situazione e di norme individuabili per capire i vantaggi dell’una o dell’altra impostazione fiscale cerchiamo di fare chiarezza su cosa significa esercitare la professione di Guida Turistica e cosa invece significa esercitare come accompagnatore turistico poiché spesso si fa confusione sui due ruoli e sulle specifiche competenze che, ricordiamo, essendo professioni turistiche  sono soggette  a una particolare abilitazione  professionalizzante in ambito provinciale  ( per Roma anche a uno Standard europeo sulla formazione minima richiesta  dal  C.E.N. comitato europeo di normalizzazione)




Tale Standard indica che la guida turistica deve possedere una professionalità a carattere multidisciplinare, alla cui formazione concorrono numerose materie: una guida deve sapere illustrare il territorio in cui opera, nei suoi molteplici aspetti che includono la storia, la storia dell’arte, l’archeologia, l’architettura, il paesaggio, le istituzioni sociali e politiche del paese visitato e tutte le manifestazioni materiali ed immateriali che contribuiscono a formare l’identità culturale di un territorio. Il C.E.N. riconosce importanza alle tecniche di comunicazione, alla gestione dei gruppi, alle tematiche interculturali, materie specifiche della professione di guida, che la normativa italiana deve recepire.regime fiscale guida turistica

La guida turistica è la persona che, per professione, accompagna gruppi e comitive nelle visite di opere d’arte, musei, gallerie, scavi archeologici e paesaggi rilevanti dai punti di vista storico, artistico e naturale. Nel luogo della visita prevista, può affiancare l’Accompagnatore turistico in alcune delle fasi di accoglienza e accompagnamento del gruppo
Illustra ed espone le attrattive locali Accompagna il gruppo nella visita dei siti di interesse turistico descrivendone le caratteristiche storiche, artistiche e culturali, a piedi o in bus.

La guida turistica ai sensi del D.P.R. n. 633/72 per la natura della sua attività è esente da iva  ai sensi del comma 22 dell’art. 10

22) le prestazioni proprie delle biblioteche, discoteche e simili e quelle inerenti alla visita di musei, gallerie, pinacoteche, monumenti, ville, palazzi, parchi, giardini botanici e zoologici e simili;

L’esenzione ha quindi natura oggettiva ( prestazione ) e non soggettiva ( prestatore)

È accompagnatore turistico o corriere chi, per professione, accompagna persone singole o gruppi di persone nei viaggi attraverso il territorio nazionale o all’estero; fornisce elementi significativi e notizie di interesse turistico sulle zone di transito al di fuori dell’ambito di competenza delle guide.

L’accompagnatore, in linea generale, segue ed assiste un gruppo turistico dall’inizio al termine di un viaggio organizzato in cui sia prevista tale figura. Ha inoltre il compito di informare tutti i membri del gruppo sugli usi, i costumi, le leggi e le particolarità dei luoghi di transito e di destinazione, anche se a livello generico in quanto le informazioni più dettagliate sulla storia, i monumenti o le zone da visitare saranno fornite dalle guide turistiche locali. Dovrà occuparsi delle formalità di frontiera e doganali e ha il compito di relazionare, all’organizzazione per cui presta servizio, l’andamento del viaggio, informandola di eventuali inconvenienti, lacune o problemi emersi.

Nell’ambito di questa attività esistono delle vere e proprie specializzazioni. L’accompagnatore per viaggi outgoing viene, definito all’estero tour manager mentre quello in incoming viene definito all’estero tour leader e diventare  “capogruppo” di comitive di turisti, sia italiani sia stranieri;  il tour leader riveste un ruolo di grande importanza: è lui che aiuta lo straniero a interpretare e capire la civiltà e la cultura del nostro paese e a promuovere l’immagine dell’Italia all’estero.

L’accompagnatore turistico ai sensi del D.P.R. n. 633/72 per la natura della sua attività  non ha alcuna agevolazione iva e pertanto le sue prestazioni sono soggette ad aliquota ordinaria IVA attualmente 22%.

Da questo punto di vista quindi almeno l’adozione di un regime dei minimi può livellare le differenze attualmente presenti in materia di IVA ( eliminandola per entrambi)  mantenendo inoltre quella sull’IRAP già prevista per il regime ordinario.

Infatti i  redditi di guide e accompagnatori  sono soggetti all’IRPEF (Imposta sui redditi delle persone fisiche), ma non all’IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive) quando l’attività è personale e manca il requisito dell’autonoma organizzazione (previsto dall’art. 2 del Decreto Legislativo n° 446 del 1997), cioè quando l’esercente l’attività non ha dipendenti o collaboratori di altro genere.

Quindi capito bene il proprio ruolo, la guida turistica o l’accompagnatore turistico debbono innanzitutto capire quale sarà il proprio fatturato potenziale annuo che deriverà dai contratti stipulati con il propri committenti ( Agenzie di Viaggio Incoming)

Si possono aprire diverse prospettive:

A) Reddito fino a € 5.000 annuo per i quali la guida o l’accompagnatore possono avvalersi di una forma di “collaborazione occasionale.” Fattispecie ipotizzabile soprattutto per le guide più giovani che pur in possesso di abilitazione professionale non riescono a stipulare un contratto di prestazione con un’agenzia di Viaggi Incoming.

Attenzione: E’ severamente vietato dalla normativa l’accaparramento diretto o indiretto di clienti per conto proprio o per conto di Hotel etc. La guida turistica e l’accompagnatore per esercitare la propria professione devono vincolarsi a un contratto di prestazione professionale effettuato con l’agenzia di viaggi 

La normativa nazionale ripresa da quella regionale prevede infatti che le guide turistiche le guide naturalistiche gli interpreti turistici e gli accompagnatori turistici non possono nei confronti dei turisti esercitare attività’ estranee alla loro professione e in particolare svolgere attività’ di carattere commerciale. Questo significa che non possono esercitare attività concorrenziale  con le agenzie di viaggio e l’ accaparramento diretto o indiretto di clienti per conto di strutture ricettive di agenzie di viaggio di imprese di trasporto di pubblici esercizi e simili.

B) Reddito superiore a  € 5.000 annue può applicarsi ( ed è molto favorevole)  il nuovo regime forfetario in forza del quale le guide turistiche e gli accompagnatori turistici  che hanno ricavi annui fino a 30.000 €  ( codice Atecofin 79 )  pagano un forfait pari al 15% del 67% di questi ricavi  meno i contributi previdenziali versati al posto di IRPEF (comprese le addizionali comunale e regionale), IVA ed IRAP (ai sensi dei commi da 54 ad 89 dell’art. 1° della Legge n° 190 del 2014, la Legge di stabilità per il 2015).
Negli altri casi è più favorevole il “regime forfetario”, specie per le nuove attività (che godono, per i primi tre anni, di un ulteriore sconto di un terzo del 67% dei ricavi, per cui l’imposta sostitutiva del 15% si paga sul 45% dei ricavi e non sul 67%, percentuale da cui si devono dedurre sempre i contributi previdenziali) e se si usufruisce dell’agevolazione contributiva prevista per le sole nuove attività di impresa e quindi perché si è iscritti alla gestione commercianti INPS per cui si evita il minimo contributivo annuo per essa previsto (pari, nel 2015, a 3.543 Euro) e si applica soltanto l’aliquota contributiva più bassa rispetto a quella della gestione separata (pari, nel 2015, rispettivamente al 22,74% ed al 27,72% (2)).

Per quanto riguarda poi il regime contributivo (previdenziale) di queste attività, le guide turistiche e gli accompagnatori turistici hanno la possibilità di scegliere fra l’iscrizione alla gestione separata INPS e quella alla gestione commercianti INPS.

(Corte di Cassazione, con la Sentenza n° 14069 del 2006  e  l’INPS, con circolare n° 12 del 2008 )

L”iscrizione nella gestione separata è riservata alle guide o accompagnatori o interpreti turistici che svolgono un’attività di lavoro autonomo occasionale (quindi prive del possesso di partita IVA) e superano il limite di 5.000 Euro di reddito annuo derivante da queste attività previsto dal 2° comma dell’art. 44 della Legge n° 326 del 2003, oppure a quelli che la esercitano in modo professionale (cioè da lavoratore autonomo con Partita IVA), mentre l’ iscrizione alla gestione commercianti è riservata alle guide, ecc. che esercitano l’attività in modo imprenditoriale (cioè con partita IVA ed iscrizione nel Registro delle Imprese ai sensi del n° 5 dell’art. 2195 del Codice Civile e per il fatto che le professioni turistiche non hanno un ordine professionale che gestisce un albo od un elenco, l’iscrizione al quale è condizione per esercitare l’attività professionale ed impedisce quella al Registro delle Imprese tenuto dalla Camera di Commercio).

Ciò significa che, fermo restando quanto previsto per l’attività autonoma occasionale dal 2° comma dell’art. 44 della Legge n° 326 del 2003, la guida turistica professionale ha la scelta fra l’aprire soltanto la Partita IVA e , di conseguenza, pagare i contributi alla gestione separata dell’INPS, oppure, oltre all’apertura della partita IVA, iscriversi anche al Registro delle Imprese e, pertanto, pagare i contributi alla gestione commercianti sempre dell’INPS. Sta a lei valutare la convenienza dei due regimi contributivi.

Si tenga presente, a questo proposito, che il “regime forfetario unico” (ma non il “regime dei minimi”) permette, come abbiamo visto in precedenza, soltanto alle guide turistiche esercenti un’attività di impresa, cioè a quelle iscritte al Registro delle Imprese, e che usufruiscono di tale regime fiscale di pagare i contributi INPS solo in base all’aliquota percentuale prevista per la gestione di appartenenza e non del minimo contributivo per essa eventualmente previsto (tale minimo, come abbiamo detto, esiste per la gestione commercianti ma non per la gestione separata).
Infine, segnaliamo che la maggioranza delle guide turistiche professionali ha finora optato per l’iscrizione alla gestione separata dell’INPS, ma dire, come fanno alcuni, che questa è obbligatoria per le guide all’inizio dell’attività e con fatturati modesti è errato, perché non tiene conto della possibilità di scelta di cui sopra e perché costringerebbe la guida ad effettuare, a fine di carriera (di solito), una ricongiunzione onerosa dei contributi versati in un’altra cassa per potersi vedere calcolata la pensione sul totale dei contributi versati in due casse diverse.

Questo problema, a meno di una riforma futura che elimini l’onerosità della ricongiunzione dei contributi pensionistici versati in casse differenti, istituto peraltro fortemente illogico in un regime pensionistico contributivo come il nostro, in cui le regole per il calcolo della pensione sono uguali per tutte le gestioni (o casse) previdenziali, non è oggi eliminabile per gli eventuali contributi versati inizialmente alla gestione separata in quanto lavoratore autonomo occasionale con un reddito annuo superiore a 5.000 Euro, ai sensi del 2° comma dell’art. 44 della Legge 326/20

C) Reddito superiore  ai 30.000  premessi e quindi applicazione del regime ordinario con aggiunta di IVA 22% ( nel caso dell’accompagnatore)  e la redazione degli studi di settore.
(Le guide ricadono sotto il Codice Ateco 79)
Ci sono alcune condizioni per rientrare nel Regime Forfetario, per esempio le spese dell’anno precedente non devono superare 5.000 euro.
Se si rientra in tale Regime :
– Non si detraggono costi; questi vengono calcolati forfettariamente al 33 %. Non bisogna raccogliere fatture da detrarre.
Si pagano le tasse sul 67 % del fatturato.
– L’imposta unica è del 15 %.
– Per le nuove attività, l’aliquota è del 5 % per 5 anni.
– Non si paga l’addizionale Irpef regionale e comunale.
– Non si devono compilare gli Studi di Settore, lo Spesometro, la Black List.
– Per i versamenti INPS di chi è iscritto alla Cassa dei Commercianti, è possibile pagare solo la percentuale e non la quota fissa.
Tuttavia consigliamo di pagare comunque la quota fissa, al fine di maturare l’anno contributivo.
– Non si deve versare l’IRAP.
– Si è esonerati dalla tenuta delle scritture contabili.
– Si è esonerati dalla comunicazione dei clienti e fornitori.
– Sulla fattura non si effettua la ritenuta d’acconto del 20 % e si incassa l’intero ammontare lordo.
Si pagano poi le tasse in sede di dichiarazione dei redditi.
La dicitura da scrivere sulla fattura è cambiata. Occorre scrivere :
“Operazione effettuata ai sensi dell’articolo 1, commi da 54 a 89 della Legge n. 190 / 2014 così come modificato dalla Legge numero 208 / 2015, all’’ art. 1, comma da 111 a 113.
Operazione non soggetta alla ritenuta alla fonte a titolo d’acconto, ai sensi dell’articolo 1 comma 67 della Legge 190/2014.
Operazione non soggetta a IVA ai sensi dell’ art. 58 e 59 della Legge 190 / 2014″.
– Per gli accompagnatori che adottano il Regime Foretario, non si incassa e non si versa l’IVA.
– Per rientrare nel Regime Forfetario, non bisogna fare nulla di particolare. Si compilano le fatture nella maniera sopra indicata.
– Non possono rientrarvi coloro che partecipano a società o associazioni.
(Il precedente “Regime dei Minimi” (vedi sezione specifica) può essere prorogato per chi già lo applicava entro il 2015, fino al compimento del quinquennio o del raggiungimento dei 35 anni di età. Oppure si può optare per il nuovo “Regime Forfettario”).

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tassazione affitto d’azienda

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tassazione affitto aziendaLa Tassazione dell’affitto d’azienda
Molte volte le imprese si trovano per necessità di gestione o per convenienza a dare in affitto la propria azienda. Spesso questa rappresenta una valida alternativa alla cessione e consente al concedente  che si trova nell’impossibilità di gestione o per altre vicende una risorsa importante per ricevere un utile dall’azienda stessa pur eliminando ogni e qualsivoglia costo inerente alla gestione Sorvolando sulle garanzie e sulle modalità di salvaguardia da prendere in considerazione quando si affida una gestione a terzi ( si pensi solo alle problematiche legate alle recensioni  per attività ricettive o ristorative) che meritano un articolo a parte, analizziamo  qui la problematica della tassazione della stessa ai fini fiscali.
Questa può presentare situazioni diverse  in funzione della natura del concedente,  ( se società o imprenditore individuale) ed in particolare se a seguito della concessione in affitto dell’azienda tale soggetto mantenga o meno la qualifica d’imprenditore, poiché i canoni d’affitto percepiti a seguito della concessione in affitto dell’azienda sono soggetti ad Iva solo se il concedente continua a mantenere  la qualifica di imprenditore successivamente alla  locazione dell’azienda.
Si determinano quindi due possibilità :
A) Il  concedente  ( proprietario dell’azienda ) perde momentaneamente la qualifica di soggetto commerciale (ad esempio per affitto dell’unica azienda da parte dell’imprenditore individuale), e quindi la sua partita Iva viene cancellata.
Gli affitti  incassati in tale periodo sono esclusi dal campo di applicazione del tributo sul valore aggiunto, e rientrano in quello dell’imposta di registro proporzionale, nella misura del 3% (C.M. n. 26/1985). È, tuttavia, possibile beneficiare di un risparmio d’imposta, se il contratto d’affitto d’azienda distingue il canone riferibile alla parte immobiliare rispetto a quello relativo alla parte restante del complesso aziendale affittato: la prima frazione sconta, infatti, la minor misura del 2%, a differenza dell’ordinario 3%, che continua a gravare sulla quota non immobiliare;
B) se oggetto della locazione è un ramo d’azienda dell’imprenditore individuale, che continua in tal modo ad esercitare la parte di azienda non locata, ( l’ imprenditore cede un’attività ma continua  ad esercitarne un’altra e quindi rimane in possesso della partita IVA) in questo caso , i canoni di locazione rientrano sempre nel campo di applicazione dell’Iva, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa di euro 200 ovvero nella misura dell’1% qualora l’azienda comprenda fabbricati strumentali il cui valore prevale su quello delle attrezzature mobili (art.35, comma 10-quater, D.L. 223/06).
C) Il concedente ( proprietario) è una società e in questo caso pur in presenza di una attività ceduta mantiene la sua partita iva che non può essere cancellata in quanto soggetto giuridico a se stante, anche in questo caso l’affitto sarà soggetto ad IVA.
Solo per l’imprenditore individuale, quindi, nel caso in cui avvenga l’ affitto dell’unica azienda esercitata si configura  la sospensione della soggettività passiva ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, previa apposita comunicazione all’Agenzia delle Entrate, non oltre 30 giorni dalla conclusione del contratto di affitto.

La posizione Iva sarà riattivata al momento della restituzione dell’azienda affittata, oppure non appena sarà iniziata una nuova attività soggetta ad Iva, ma nel frattempo l’imprenditore individuale è esonerato da tutti gli obblighi Iva. Tuttavia, la cessione di un bene affittato comporta la necessità di riattivare la partita Iva, al fine di procedere alla fatturazione e registrazione dell’operazione, alla liquidazione dell’imposta ed al relativo versamento, nonché alla presentazione della dichiarazione annuale (C.M. 30 maggio 1995, n. 154).

Al pari di quanto visto per la fiscalità indiretta, anche in ambito di imposte dirette è necessario distinguere due ipotesi:

locazione dell’unica azienda da parte dell’imprenditore individuale;
locazione di ramo d’azienda da parte dell’imprenditore individuale, ovvero locazione d’azienda da parte di società commerciale.
Nel primo caso, ai fini Irpef, il canone percepito dall’imprenditore individuale che ha locato l’unica azienda è qualificabile come reddito diverso, ai sensi dell’art. 67, co. 1, lett. h), del D.P.R. n. 917/1986 e, quindi, rilevante in base al principio di cassa. L’ammontare imponibile è pari alla differenza tra i canoni percepiti e le eventuali spese sostenute per la produzione degli stessi (CTC n. 2489/2002), come le spese di manutenzione e riparazione straordinaria ed ammodernamento (art. 71, co. 2, del Tuir). Diversamente, non rientra nel campo di applicazione dell’Irap, per carenza del requisito soggettivo, non essendo più un imprenditore. Specularmente, se l’affittuario – alla data del contratto di concessione in godimento dell’azienda – non rivestiva già la qualifica di imprenditore commerciale, la acquisisce per effetto di tale operazione: il canone d’affitto diventa, quindi, un costo deducibile dal reddito d’impresa e dalla base imponibile Irap (C.M. n. 148/E/2000).

Nella seconda fattispecie, invece, poiché a seguito dell’affitto il concedente mantiene la qualifica di imprenditore, i canoni sono soggetti ad Iva ordinaria del 22% e all’imposta di registro in misura fissa (euro 200) o dell’1%, e concorrono alla formazione del reddito d’impresa e della base imponibile Irap, come componenti positivi, essendo imputati alla voce A1) del conto economico, se la l’affitto d’azienda rappresenta il core business dell’impresa, o alla voce A5) qualora si tratti di una mera attività accessoria.


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